TUPPUTI SCHINOSI FAMIGLIA

La nobiltà di questa famiglia pugliese, oltre che nella bella tradizione secolare, trovò riconoscimento pieno in Filippo II. che, abituato a premiare i meriti dei cittadini più preclari, il l0 agosto 1579, compiacendosi della lodevole condota politica e morale di Giorgio, Tommaso, Domenico Antonio e del loro discendente Tommaso Tupputi si compiacque concedere a quest’ultimo, ed ai di lui eredi e successori, il titolo di Marchese, con facoltà di incardinarle ad un feudo che avrebbe potuto in seguito acquistare.

A tale segno di alta considerazione regale rispondeva senza dubbio il fatto che la nobiltà dei Tupputi era di vecchia data. E’ nota infatti che la situazione familiare rimontante al secolo XIV segnalava il trasferimento di Tommaso Tupputi Seniore che, di nobile famiglia Piacentina, prendeva dimora in Napoli, ed il fatto che un nipote di lui, un secondo Tommaso, accasavasi in Andria con una nobile fanciulla di famiglia Tesorieri. I discendenti di questo Tommaso acquistarono di mano in mano molti feudi rustici ed urbani per il decoroso mantenimento del loro cospicuo casato. Progredendo sempre più la famiglia sia nel campo degli studi sia nel campo terriero, la storia famigliare documenta l’esistenza di un Tommaso, figlio di Domenico Antonio Tupputi vissuto verso la metà del 1500, giureconsulto di chiara rinomanza. E fu proprio a questi che Filippo II. concesse il titolo marchionale.

***

Dall’epoca della concessione del titolo e per due secoli successivi il privilegio non presenta nei pubblici registri movimento alcuno.

Nel 1785 la Real Camera di Santa Chiara confermò tale titolo a Riccardo Tupputi e, più tardi, il figlio di lui, il marchese don Domenico Antonio chiese ed ottenne che il titolo di marchese passasse al suo figliuolo comm. don Ottavio, unico maschio superstite congiunto in matrimonio con la nobile donzella donna Almerinda Schinosi, discendente anch’essa da illustre famiglia nobile Partenopea e madre di larga figliolanza. Il Regio Rescritto che riconosce questo trasferimento di titolo porta la data dell’11 aprile 1840 e precisa novellamente l’arma famigliare.

Ottavio Tupputi illumina con la sua altissima figura il movimento meridionale per il Risorgimento Italiano. Glorioso avanzo dell’Esercito del Primo Impero di Francia, fattore principale dei moti del 1820 e del 1848 nel Napoletano, epperciò condannato a morte due volte, e quindi all’ergastolo, alla relegazione, alla confisca, all’esilio, ebbe la fortuna di vedere instaurata la libertà di Napoli il 7 settembre 1860 e fu dal Governo Sabaudo investito delle più alte cariche, quali quelle di Luogotenente generale della Guardia Nazionale di Napoli e di Senatore del Regno.

Degno, figlio dei padre suo don Domenico Antonio che, perseguitato dal Borbone, dovè scampare a Parigi, ove visse in doloroso esilio con i suoi, egli il marchese Ottavio, nato in Bisceglie il 18 settembre 1789, fu allievo della scuola militare di Parigi (il Pritaneo). Dopo cinque anni di permanenza ed ancora quindicenne egli corre ad arruolarsi volontario tra le schiere francesi comandate da Napoleone allora accampate in Allemagna. E da quì comincia per il giovane nobile biscegliese una mirabile esistenza di eroismo.

***

Fornito di natura energica e audace, di anima ardente e focosa; educato alla scuola di armi, in mezzo ad una Nazione per la quale la guerra è un bisogno, tra un esercito di eroi, che passerà ai posteri in eterna memoria, potea Egli non rispondere all’altezza della missione cui sentivasi chiamato, di rendere cioè onorato il nome e il valore italiano in mezzo a stranieri, tuttochè o indifferenti alle nostre sventure, o poco inchinevoli ad aiutarci?

Ecco come il prof. M. Terlizzi fissò, nello elogio che egli recitò nella chiesa di San Lorenzo di Bisceglie il 27 marzo 1865 e dopo la messa di requiem celebrata presente la venerata salma, queste periodo giovanile della vita di Ottavio Tupputi:

« Nella memorabile battaglia di Jena, ove inaugura nel ventunesimo reggimento dei cacciatori di cavalleria le sue gesta guerriere, avvegnachè giovinetto ancora e fresco all’armi ed agli strapazzi del campo, Egli è tra i primi allo assalto, è là dove più ferve la mischia, là dove è più grave il pericolo: e lascia in trepidanza i suoi compagni d’arme, che la vittoria non costi la vita di questo prode garzone. Chè una palla micidiale lo ha già ferito all’addome, il sangue già sgorga a zampilli, l’economia della vita si sconcerta: ma egli non abbandona il suo posto, non cede terreno, non depone la spada, che quando le grida di vittoria lo confortano del sangue versato. Deh! salve, tre volte salve, o giovine prode! ».

Nè il resto delle sue belliche gesta fu discorde da sì glorioso principio, nelle campagne di Prussia e di Polonia, di Spagna e d’Austria e di Russia. Sulla Vistola, a Morungen, a Pultusch, egli è tra i più audaci a resistere a quella terribile cavalleria dei Cosacchi, che impediscono la marcia, guastano i piani, ti sono addosso alla sprovveduta, e possono mettere a repentaglio la riuscita della gloriosa giornata. Quivi, colto in imboscata con pochi suoi da un nugolo di Cosacchi, non si smarrisce, non indietreggia; risponde impavido alla carica. Tutto intriso di sangue per una lanciata che gli trapassa la spada, imprende un combattimento corpo a corpo con quel branco di barbari; e già è presso ad afferrar la vittoria, quando un fendente scaricatogli sul capo par che venga quasi a rapirgliela. Ma l’audace che gli vibra il colpo rimane tosto punito; e di mano percosso dal Tupputi gli spira tremando ai piedi.

***

Ed egli, tuttochè in mezzo al tempestar dei colpi e il cavallo ricalcitri e s’impenni, imperterrito in tanto pericolo lo infrena con mano di ferro e lo sprona e l’incita, e fuori la mischia insegue e disperde la ciurma fuggitiva.

E ad Eylau e ad Heilsberg, e a Friedland e ad Aspera, e ad Essling e a Wagram e a Curona e a Siviglia, e sulle vie di Madrid e ad Oceana divide sempre gli onori della vittoria, quasi sempre l’ onor maggior delle ferite con quell’ esercito di prodi, cui mostrasi ben degno di appartenere.

Nè tanto valore in sì giovane età potè rimanere inosservato, promosso a mano a mano, sempre sul campo di battaglia, ogni volta a costo di gravi ferite e molte, insino al grado di Capitano, nella fresca età di diciotto anni appena, già Cavaliere dell’Ordine Militare di Spagna, richiama su di sè l’ammirazione dei Marescialli di Francia. Ed il Mortier, chiamato a capitanare la Guardia Imperiale, corpo scelto di prodi tra i prodi dell’Esercito, questo muro di granito in mezzo agli attacchi, che potea ben vantarsi di farsi uccidere bensì, ma non cedere punto, Mortier sceglie Tupputi a farne parte, e non pur confermargli quivi il grado di Capitano; ma lo vuole a suo aiutante di campo nella spedizione di Russia.

Fu così al passaggio del Niemen ed a Wilna, sulle rive della Moscowa e a Baradino, dove, per un’ardita e rischiosa ricognizione fu nominato Cavaliere dell’Ordine Militare di San Stanislao di Polonia.

Agli ordini di Gioacchino Murat che ebbe occasione di lodarlo pubblicamente, partecipò alla ritirata della Russia e quando il cognato di Napoleone diventò Re di Napoli egli lo seguì nella Capitale del Regno delle due Sicilie col grado di Capo Squadrone degli Ussari della Guardia ed ebbe l’incarico di organizzare un reggimento di corazzieri. Si distinse tanto che f:u promosso al grado di tenente colonnello.

Spentosi a Waterloo la potenza di Napoleone, egli per parecchi anni si ritirò in doloroso silenzio e soltanto nel 1818 dal generale Nugent fu incaricato di organizzare un reggimento di Dragoni ed in tale qualità egli partecipò al movimento che impose a Ferdinando I di Borbone la costituzione.

Quando questo Re spergiurò la costituzione promessa, egli diventò un perseguitato pericoloso e, dal Re Francesco I succeduto al padre fu relegato all’Isola di Favignano.

Confinato dal 1831 al 1848 a Bisceglie egli continuò a diffondere fra i suoi concittadini il desiderio dell’unità della Patria.

E’ invitato a Corte, ma apprende che colà sarà carcerato e condotto a morte; ed è allora che egli va ramingo e fuggiasco prima a Corfù poi a Parigi e quindi in Toscana. Quando il generale Garibaldi entra in Napoli il venerando tenente colonnello è quegli che gioisce più di tutti gli altri patrioti.

E’ nominato da Garibaldi Capitano Supremo della Guardia Nazionale, il Re lo nomina Luogotenente generale dell’Esercito, suo aiutante di Campo, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Mauriziano. Contemporaneamente il secondo Imperatore dei Francesi gli conferisce il Grande Ufficialato della Legion d’Onore. La gioia per la libertà conquistata dalla Patria risorta a vita di grande nazione non dura troppo per lui. Gli si addensano intorno le nubi della prossima fine ed il 25 marzo del 1865 egli rende l’anima a Dio, compianto da tutti gli Italiani come prode soldato, martire invitto e cittadino intemerato.

***

Giuseppe, l’unico figlio del grande patriota pugliese sopravissuto fra i sette che questi ebbe dalla sua nobile consorte Almerinda Schinosi, curò il patrimonio famigliare che frattanto era stato considerevolmente locupletato dall’apporto dei rilevanti beni di fonte materna, e riuscì ad assegnare ai figli Tommaso ed Ottavio nonchè alle figliuole Isabella e Teresa, la prima maritata al marchese De Luca di Roseto e l’altra al conte Tosti di Valminuta, molte tenute trasformate ad oliveti e vigneti che non sono state abbandonate.

Del patrimonio fanno parte due gemme architettoniche della nostra terra: l’antico palazzo Tupputi, capolavoro dell’edilizia seicentesca ed il grandioso palazzo Schinosi che si aderge sulle turrite mura di Bisceglie, mettendo in evidenza un’architettura sobria e maestosa.

Nella grandiosa fattoria che s’erge nel mezzo dei vigneti, degli oliveti e dei mandorleti della tenuta Schinosi, posta a cavallo della ridente città di Trani, il marchese Tommaso e suo fratello Ottavio vigilano incessantemente sulla condotta delle varie attività aziendali. Con fervore nuovo essi hanno migliorato e trasformato le loro terre, hanno creato stabilmente vinicoli, modernissimi frantoi, hanno portato la loro azienda ai primissimi posti fra le altre similari della provincia di Bari.

Esponenti della nuova nobiltà italiana influenzata dal clima galvanizzatore del Fascismo, i due eredi di così augusta tradizione famigliare rappresentano due mirabili esempi di amore alla terra, di intelligente fattività, di saggezza amministrativa.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

Edizioni Giuseppe Laterza srl
Bari, piazza Umberto I n.29 – Tel. 345 623 6207 – Email info@edizionigiuseppelaterza.it

Consulta la pagina dedicata sull’edizione storica: