SPALLUTI ARSENIO

Arsenio Spalluti! Una energia salda come granito espressa dalla Terra di Bari sua parte più ferrigna e più convulsa! Nella privata e nella pubblica amministrazione mantenne fede ad una dirittura morale che non ebbe mai incrinature e ad una unità di sistema che non piegò mai ad alcun allettamento popolaristico.

Fu guidatore d’aziende agricole a sistema estensivo e di aziende comunali in tempi tristi e mirò soltanto al pubblico bene giovandosi della sua complessa cultura giuridica e della sua esperienza di vita.

Fu un carattere. Rappresentò la continuità della tradizione borghese nostrana che alla pratica della umana solidarietà accoppiava la onestà del sentimento, la dignità del proprio ceto, la passione alla terra, l’amore al proprio paese.

Ospitale e cortese egli vide passare per la masseria « Caprarizza » posta sui margini del bosco comunale di Gravina tutti i più famosi cacciatori di Puglia e Lucania, tutte le principali autorità provinciali, e sempre prodigò ad essi i tesori della sua gentilezza nativa, mettendo in ombra volutamente le sue autentiche conoscenze in varii rami dello scibile e menando vanto solo della produzione casearia della sua azienda ch’egli aveva tenuto lontana da ogni adulterazione e contaminazione prendendo a poco a poco contatto coi moderni sistemi di sfruttamento lattifero.

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Un giorno ormai lontano, aureolato dalle iniziali investiture del Fascismo diventato Stato e Regime, in quell’ambiente patriarcale, assiso fra le quercie del bosco ceduo noi partecipammo ad un raduno ricreativo che confermò luminosamente la buona considerazione che circondava don Arsenio nel suo paese ed in tutta la Provincia. C’erano a quell’adunata agreste molte personalità fra cui il Prefetto dell’epoca e parecchi deputati. Per quanto ultra settantenne l’ospite era ancor vegeto e saldo. Tenne ad offrirci l’assaggio di provoloni e di mozzarelle di cui si è smarrita oramai la degustazione e, soltanto quando i suoi amici più cari lo sollecitarono a rievocare qualche pagina della sua vita avventurosa egli raccontò l’episodio doloroso che sfiorò coll’alito della tragedia la sua giovinezza sana e coraggiosa: il sequestro di persona subito ad opera del bandito Serravalle e la conseguente miracolosa ed inattesa liberazione ad opera dei suoi parenti scaltri e ardimentosi.

Ed insistette poi nella pagina della sua pubblica attività che ne rassegna la memoria alla riconoscenza cittadina: l’impari e pur vittoriosa lotta sostenuta contro la demagogia imperante che voleva lo sperdimento del bosco comunale di Gravina, patrimonio sacro alle collettive esigenze del Comune.

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Parlava pacato e chiaro, scandendo le parole e serrando le vocali alla maniera toscana, éco indistruttibile della educazione ricevuta nell’ateneo napoletano da maestri a carattere umanistico, in quell’ Ateneo ove, a soli 22 anni, aveva conseguito la laurea in Giurisprudenza.

E questa chiarezza di accenti egli serbò fino all’ultimo giorno di sua esistenza terrena. Noi lo avvicinammo qualche mese prima della sua morte ed in quell’occasione volle darci notizie della sua vita e documenti comprovanti la sua inflessibilità di carattere e la sua combattività. Egli era a letto scarnito dal male inguaribile che doveva spezzarlo; intorno a lui erano i suoi adorati due figli adottivi, l’avvocato Domenico e il dottore in Scienze Commerciali Michele, che pendevano dalle sue labbra e si apprestavano e seguirne le disposizioni riguardanti l’andamento della complessa azienda (la degenza non ne aveva spezzato il comando!) e fu allora ch’egli rievocò le figure dei suoi anziani e ci parlò dei suoi parenti più colti.

Egli era nato il 7 ottobre 1853 da Michele appartenente a famiglia in cui si erano avvicendati per 4 o 5 generazioni i geometri e gli agricoltori. Ebbe come fratello maggiore, e come méntore autorevole don Girolamo Spalluti che aveva sposato una sua sorella maggiore e che si era dato ai liberi studi ricavando da questa paziente assiduità una profonda cultura.

Benemerenze di questo singolare autodidatta rimarrà, nei secoli, la cura della traduzione e stampa della famosa Cronaca di Gravina del Notaio Giandomenico, che ha dato lumi non pochi alla vita trecentesca del Comune degli Orsini.

Dal cognato don Girolamo, don Arsenio aveva attinto la saggezza amministrativa, la dottrina giuridica e la nobiltà del sentire. Laureatosi, come abbiamo detto, nel 1875 egli aveva portato ai poveri l’ausilio della sua competenza nel giure e non come praticante delle Preture e dei Tribunali, ma come consulente senza compenso alcuno. Morto il cognato Don Girolamo si diede alla cura dell’azienda agricola ereditata che aveva la sua preziosa gemma nella Masseria « Curiale » alias «Caprarizza» della superficie di 400 Ettari, famosa pei suoi allevamenti di bestiame equino e vaccino e per la produzione dei caciocavalli. Egli purificò ed affinò tali allevamenti portandoli ad un’eccellenza singolare, e migliorò la produzione cerealicola delle altre Masserie di sua proprietà, quella denominata« Locuoccio» e quella nomata « Lama Giannini ».

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Fu consigliere del Comune di Gravina, e senza discontinuità, dal 1880 al 1900 e fu durante questa sua attività ch’egli ebbe modo di difendere la patrimonialità della Difesa comunale « Bosco di Gravina » evitandone la ripartizione con la conseguente distruzione di un così cospicuo patrimonio comunale.

La impopolarità che per questa sua battaglia stravinta lo colse non ne alterò la istintiva serenità.

Minacciate le sue masserie da propositi di sabotaggio egli si limitò ad assicurarle contro l’incendio, e continuò a raggiungere isolato ed a cavallo la sua cara « Caprarizza » i cui allevamenti in continua ascesa lo consolavano di ogni amarezza.

Fu Presidente della Commissione Censuaria del Comune di Gravina.

Membro della commissione per la revisione delle liste elettorali ordinata da Crispi lottò contro il Sindaco dell’epoca, l’avv. Lettieri, che si vantava dell’amicizia di Nicotera ed era per l’universalità del voto. Rappresentante del Comune di Gravina nel Comitato Forestale Provinciale si giovò della carica per evitare la distruzione del Bosco di Gravina (e dire che egli aveva tutto l’interesse di veder dissodata questa foresta perchè ne sarebbe derivato un maggior valore alla tenuta « Caprarizza » contigua alla foresta stessa!) e per mantenere integro il patrimonio forestale della Provincia.

Anche in questo Don Arsenio fu anticipatore dei nuovi precetti di vita agreste e politica instaurati dal Fascismo; anche per questo egli ebbe la tardiva riconoscenza dei suoi concittadini che si raccolsero piangenti intorno alla sua salma quando la morte ne spezzò la robusta tempra durante l’anno XIV della nuova Era.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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