SPAGNOLETTI ZEULI FAMIGLIA

Questa famiglia ha saputo degnamente occupare, restaurandola, quella che fu la regale casa dei Carafa d’Andria; perciò rivive nei grandiosi saloni del vetusto palazzo di infrangibile maestà, la gentilezza abituale del casato, l’ospitalità calda e toccante, la pratica della umana solidarietà, che han trovato nel vivente Conte Onofrio ed in sua moglie, la N. D. Serafina di casa Pastore e nel loro giovane figlio Ferdinando, i degni eredi di una bella tradizione di famiglia.

Notizie certe sul ramo Spagnoletti risalgono al 1600; ma nell’archivio familiare son conservati documenti dai quali risulta che le buone origini familiari risalgono a molto tempo prima.

Infatti Sebastiano Spagnoletti, seniore, fu l’ultimo castellano di Castel del Monte, come risulta da una nota del Catasto onciario del 1700, conservata nell’ Archivio di Stato di Napoli.

Un altro documento importantissimo, che risale alla vigilia del grande sommovimento del 1799 porta trascritto l’inventario dei mobili e dei documenti conservati nell’antico palazzo familiare, sito a breve distanza dal Palazzo Ducale, inventario che rappresenta la migliore testimonianza della signorilità di questa famiglia.

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Da Sebastiano Spagnoletti, juniore, patrizio di Andria e di Giovinazzo e laureato in ambo le leggi, nasce Ferdinando, ufficiale superiore di Ferdinando IV. Fu questi che nominato giudice di pace da Gioacchino Napoleone, restaurò dalle fondamenta il castello di Andria e poscia lo acquistò per i bisogni della famiglia.

Egli aveva sposato, infatti, la nobildonna Mariangela Zeuli dei Baroni di Brisighella, nobili della Romagna, di Napoli e Bari. Ebbe larga figliuolanza e fu per parecchi lustri giudice sopranumerario di Tribunale nel Ministero di Grazia e Giustizia, prestando la sua opera graditamente. Fu munifico per eccellenza, seguendo le tradizioni di famiglia, che fin dal 1600 aveva curato la istituzione di scuole e che aveva concesso maritaggi e costituito vari legati per opere pie laicali.

Fu appunto Ferdinando che ottenne il Decreto per l’aggiunzione del cognome materno a quello suo patronimico, con il corollario dello inquartamento delle proprie armi con quello degli Zeuli.

Questo stemma confermato con Decreto di Vittorio Emanuele II., nel marzo 1876, porta inquartato: al primo e quarto di verde, al braccio destro armato al naturale, muovente dalla partizione ed impugnante una spada d’argento, alta in palo ed adestuta da una cometa d’argento ondeggiante in palo, per il casato degli Spagnoletti; al secondo e terzo troncato di rosso e d’azzurro, il primo ad un fiore, il secondo ad una rosa a due rami divergenti, fogliati e cadauno fiorito all’estremità. Essa rosa è posta sulla vetta più alta sulle tre di un monticello pure d’oro, per gli Zeuli. Esso scudo è cimato da elmo d’acciaio liscio, chiuso in profilo, ornato di cercine e svolazzi, d’azzurro, di rosso e d’oro per i discendenti maschi; senza l’elmo e gli svolazzi per le femmine.

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L’amore alla terra è, come abbiamo già detto, abituale in casa Spagnoletti Zeuli. Dalla fine del 1600 ai tempi odierni esiste infatti nell’archivio familiare tutta una documentazione, da cui risultano sia gli acquisti di terreni e sia le trasformazioni ad essi apportate.

Attualmente la estesissima proprietà, in origine selvosa, è tutta cosparsa da uliveti, da mandorleti e da vigneti ubertosi. Ed all’amore della terra è andato spesso, nei vari componenti di questa famiglia, accoppiato l’amore agli studii. Infatti un nipote di Onofrio, seniore, figlio di Pasquale Spagnoletti Zeuli, fu, nel secolo scorso, Nunzio Apostolico a Lisbona e se non fosse stato colto da precoce morte (si spense a soli 36 anni) avrebbe raggiunto altissimi gradi nelle gerarchie ecclesiastiche.

Nel 1889 ad Onofrio Spagnoletti Zeuli fu conferito il titolo di Conte. Da Onofrio nacque Ferdinando e quindi da questi Onofrio, e quattro femmine: Caterina maritata Porro, Francesca maritata Cafiero, Mariangela maritata Messere e Maria Pia maritata Patroni Griffi.

Il Conte Onofrio scelse in sposa donna Serafina Pastore di San Michele e dalle nozze nacquero Ferdinando, che ha ora 25 anni ed amministra il suo patrimonio, ed Anna Maria recentemente maritata al signor Vincenzo Azzone.

Abbiamo già detto che i componenti di questa famiglia non hanno mai abbandonato la cultura del patrimonio agricolo: vera passione terriera che si è espressa con continue trasformazioni e miglioramenti e con introduzione di allevamenti di equini e bovini.

E’ a memoria d’uomini la condotta di gran signore di campagna del Conte Onofrio, che non mancò mai far tornare alla terra quel danaro che la terra stessa aveva generato e prodotto. Egli si oberò, in periodi di nera disoccupazione agricola (immediato dopoguerra) di settimanali favolosi per compensare le centinaia di braccia poste a lavoro di trasformazione nei suoi fondi. E quando il contadino di Andria, illividito nel periodo della mancata vigilia bolscevica, dall’odio padronale, assunse il bieco atteggiamento di persecutore dei « signori », serbò il suo saluto, se pur misurato e freddo, solo a questo eccezionale agricoltore ed alla sua famiglia.

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Il compilatore di questa nota ha conosciuto l’ultimo erede di questo casato sui polverosi campi di corse ippiche (oh quanto polverosi in questa Puglia non più sitibonda!). Trovò in lui un cavaliere mezzo all’antica, « senza macchia e senza paura » imbronciato solo quando le manifestazioni sportive si lasciavano pigliare la mano da quelle mondane.

Con lui, ho trascorso magnifiche ore antelucane, inattesa che le bestie si avviassero al piccolo trotto sulle inospiti piste, al lavoro.

Notai che questo ottimo amico, che ha negli occhi di fanciullo tutto il michettiano spirito di Aligi, conosceva le biade ed il fieno da consumato agricoltore, che i suoi sguardi ai garretti ed alle spalle delle puledre erano rivolti con la profonda serenità di uno scaltro veterinario e quando infine egli mi infagottò in un gomito di pista e mi gettò ruzzoloni (ahimè!) di sella, ebbi, in corpore vili (e quanto!) a capire che davvero anche l’arte della sella e della corsa non gli mancava.

Abbiamo con lui, in seguito, discusso dei seguenti argomenti: amore, vita mondana, viaggi, vita amorosa georgica ed infine di tante altre cose, ma egli non mi è più apparso, come nelle albe delle vigilie di corse, quella specie di serafico Aligi di Puglia.

L’ho poi rivisto in sedute mondane dignitose e alla luce del sole come in altre semimondane e solo per metà al buio ed ho notato che il suo sorriso era andato via per sempre. Dimenticavo di dire che una sola eccezione vi fu quando, qualche mese scorso, in una sua tenuta, mostrandomi un suo nutrito allevamento di tori e di vacche lattifere, ebbe a confidarmi che l’allevatore era lui.

– Vedi, mi disse, io alleverei anche dei rinoceronti, delle zebre, come dei cani e dei dromedarii… Non credi?

– Ah, sicchè i cavalli…

– Non erano che dei prodotti di allevamento. Credi pure che la modestia della mia scuderia voleva solo dire sei o sette bestie, nate e cresciute sotto i miei occhi. Se mi regalassero « Pilade» non lo preferirei al mio modesto « Borgia ».

L’amico Nando tornò triste e ritengo che egli dovette pensare tra sè: « Allevare è ben necessario, cavalcare forse non è necessario ».

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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