SPADAVECCHIA PASQUALE

Nella famiglia Spadavecchia, originaria di Molfetta, ha avuto sempre tradizioni di genialità la meccanica, tanto che Vincenzo Spadavecchia fu ai suoi tempi considerato come uno dei meccanici più abili; specializzato nel costruire casseforti. Egli ebbe a fondare una vera e propria industria del genere avendo impiantato una grande officina per costruzioni in ferro di ogni fatta. Egli ebbe 24 figli dalle nozze con una Balacco di Molfetta e con una Mastrandrea da Giovinazzo. Dei suoi figli, Giuseppe ereditò in pieno le doti paterne, intelligente, operoso e sveglio. Si sentì portato verso la bellezza delle arti plastiche e della scultura ed ebbe amico il Cifariello, con cui ebbero inizi artistici modellando e vendendo statuine, dal cui ricavato acquistarono libri. In breve Giuseppe Spadavecchia cominciò a specializzarsi in plastica meccanica, affermandosi nel campo della fabbricazione delle armi e in ortopedia. Trova lavoro e valutazione nelle fabbriche di armi di Brescia e di Torino ed il Cantiere di Castellamare di Stabia lo avrà nel 1889, in seguito ad un concorso, stimatissimo direttore tecnico.

Fu nel sabato di Pasqua del 1890 che le sue qualità di meccanico ortopedico dovevano affermarsi più di ogni altra volta, quando per un gravissimo infortunio subito nel Cantiere da un operaio egli allestì un arto artificiale, che rispose perfettamente all’uso e che attirò su di lui l’attenzione ammirata dei chirurghi degli ospedali napoletani.

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Di quest’uomo nobile, estroso, geniale c’e da dire che ebbe in amore il viaggiare, portato a perfezionarsi giorno per giorno sicché raggiungerà e visiterà quasi tutte le Nazioni d’Europa e sarà anche in Cina. Nel 1900 presenta a Parigi un primo apparecchio ortopedico, che aveva suscitato le diffidenze e l’incomprensione dei tecnici italiani. Nel 1894 torna nella nativa Molfetta dove impianta l’Istituto di Ortopedia, che ancora oggi, continuato dal figliuolo Angelo e intitolato al suo nome. E’ inutile dire che le continue e felici sue innovazioni ortopediche furono sempre presentate alle varie Accademie Internazionali, e segnatamente a quella di Parigi, ove riscosse incoraggiamento e plauso. Ci soffermeremo brevemente su quelle che furono le più geniali applicazioni meccanico-ortopediche da lui inventate: mano cinematica, congegni e chiusura per casseforti.

Ricorderemo anche che fu nominato membro dell’Accademia internazionale degli inventori, Commendatore della Legion d’onore e laureato ad honorem nella facoltà di Ingegneria a Parigi e durante la visita del Presidente Loubet in Italia, S. M. Vittorio Emanuele III gli conferisce un’alta onoreficenza.

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Muore compianto nel 1929 (settembre), avendo speso 74 anni della sua nobile vita nella ricerca di tutto quanto potesse migliorare, nel campo dell’ortopedia la vita dei suoi simili e nell’apostolato, che ebbe altissimo della educazione dei figli, di cui tre maschi, Vincenzo, Angelo e Italo, risentirono particolarmente delle doti e dell’educazione paterna, sicché ebbero a coadiuvarlo nella pratica scientifica dell’Istituto.

Il figliuolo Angelo completa la sua educazione in Germania, a Francoforte sul Meno, discepolo del grande Normann Jaroch. Il ritorno di Angelo Spadavecchia in Italia avvenne nel 1915 in occasione del conflitto europeo, quando venne ad arruolarsi volontario nel 30. Reggimento Fanteria. La prima linea di guerra lo vede magnifico soldato; due volte ferito; due volte decorato di croce di guerra. Il dopoguerra, per un concorso banditosi nell’Istituto Nazionale dei Mutilati (1920-22) lo vede direttore tecnico di questo Istituto. Nel 1922 egli si trasferì in Bari con l’Istituto paterno, impiantando in Via Principe Amedeo ove attualmente risiede, una accreditata officina, che è accorsatissima.

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Altro Istituto intitolato a Giuseppe Spadavecchia è quello che il fratello di lui, Vincenzo, impianta in Argentina mentre che il giovane fratello Italo, non demeritando della famiglia impianta un altro istituto a S. Paolo del Brasile.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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