MACARIO FAMIGLIA

Della famiglia Macario si hanno notizie fin dal Millecento, come rilevasi da una pergamena esistente presso il R. Archivio di Siena, che enumera vari messi o Conti Imperiali, che, coi Macario, Gualteiro, Paltonieri ecc., si avvicendarono al governo di Montepulciano.

Con tutta probabilità discendenti dei Macario di Siena, furono i Nobili Macario di Castello Novo. Uno di essi, Francesco, dopo di essere stato Segretario del Gran Camerario che era la più alta dignità del Regno di Napoli fu inviato da Alfonso d’Aragona nel 1454 in Puglia in qualità di Mastroportolano di Terra di Otranto e Basilicata.

Nel decreto di nomina il Re lo chiama « egregio e nobile uomo a lui fedele e diletto ». Il decreto con diploma conservasi nel R. Archivio di Napoli: Esecutoriale vol. l. foglio 334. Indi la famiglia Macario si stabilì a Bari, ove ottenne diverse cariche importanti e godè privilegi. Nel vecchio Borgo di Bari, possedette uno dei più bei palazzi di stile barocco, attiguo al Convento di S. Giacomo, che tuttora ricorda il loro nome e che è fiancheggiato da una via denominata « Corte Macario ».

Venendo ai tempi a noi più vicini, ricordiamo Giacomo Macario che nel 1790 fu R. Credenziere della Dogana di Bari e sposò Anna Maria Fanelli, sorella a Nicola e Giuseppe Fanelli che furono Sindaci di Bari, rispettivamente nel 1797 e 1813. Egli, per incompatibilità col suo Ufficio, non potè avere incarichi municipali, che assunse poi nel 1817, come rilevasi dalle decisioni Ducurionali esistenti presso il Municipio di Bari. Dei figli di Giacomo, Angiola sposò il marchese di Torre Roggero, Cesare De Angelis Effrem, e Giuseppe sposò Grazia dei Nobili Azzariti di Molfetta.

Sia Giacomo che Giuseppe, insieme coi parenti De Angelis e Fanelli, si trovano iscritti nelle liste dei primi Carbonari cospiranti per l’unità e indipendenza d’Italia. Giuseppe Macario mise dimora poi a Napoli e ivi morì nel 1851, lasciando molti figli, che tutti si imparentarono con nobili famiglie, quali: i Conti Piromallo di Capracotta, i Duchi Vasaturo Marchesi di Montorio, i Nobili Gigli, i Carignani Marchesi e Duchi di Novoli, i Capasso Conti di Pastene, ecc.

La famiglia Macario è iscritta nell’albo d’Oro della Nobiltà Italiana. I figli di Giuseppe – nonno degli attuali Macario – che ebbero successori furono: Clemente che lasciò due soli figli: Giuseppe e Nicola, quest’ultimo R. Ministro plenipotenziario; e Antonio che ne ebbe otto tutti viventi, Giuseppe, Donato, Luigi, Francesco; Grazia, Rachele, Anna e Cristina. Giuseppe e Donato sono particolarmente dediti all’agricoltura seguendo le tradizioni familiari; Luigi è laureato in legge e vive a Bari ove si è imparentato con l’unica figliuola del comm. Filippo Petrera; Francesco è laureato in ingegneria e vive anche nella nostra città.

Detta famiglia è nota non solo in Bari, ma in tutta la provincia, avendo posseduto e possedendo in parte ancora vasti latifondi in vari comuni, ove esistono contrade dal nome « Macario ».

Fin dal 1860 queste terre sono state totalmente sottoposte a migliorie e a intensa cultura, mercè la passione per l’agricoltura e lo spirito innovatore di Antonio: unico dei Macario che ritornò in Puglia, dopo lunghi e istruttivi viaggi all’estero, il quale si acquistò non poche benemerenze fra la classe dei nostri attivi ed industri contadini, di cui curò con tutte le sue forze l’elevazione economica e morale.

Ad Antonio si deve fra l’altro l’erezione della unica chiesa di Torrepelosa – ora frazione di Bari – ed il restauro della Chiesa Matrice di Noicattaro, eseguiti a sue spese.

A Noicattaro, presso Bari, ove Antonio mise dimora a causa del suo matrimonio con Vincenza De Mattia figlia di Giuseppe (uno dei migliori artisti di Puglia, del quale si conservano molti pregevoli quadri nelle chiese di questa cittadina) e di Rachele della Nobile Famiglia Falangola di Sorrento – a Noicattaro, diciamo, si ammira un quadro dei primi del 1500, capolavoro della scuola Bramantesca, che si appartiene alla famiglia Macario da oltre due secoli, a testimoniare la sensibilità che essa ha sempre avuto pei richiami delle manifestazioni artistiche.

Di questo quadro che primeggia fra una serie infinita di tele e di tavole d’autore possedute dai Macario si occupò primamente Mario Salmi che ne l’ «Arte» diretta dal Venturi (Anno XXII Fasc. IV .VI) così ne parlò fra l’altro:

« Un posto stranamente isolato occupa una tela presso il Sig, Macario di Noicattaro. Sotto .un silenzioso ed ampio portico grigio a colonne abbinate, che fanno pensare a una scenografia secentesca, siede la Vergine in primo piano sopra un gradino, tenendo il Bimbo nudo che abbraccia San Giovanni. A destra, nella penombra del portico, una rugosa, realistica Sant’Elisabetta discorre con Zaccaria che accenna ai due Putti. Nel fondo si scorge un freddo cielo azzurrino e una piazza assolata, dove si eleva un alto edificio e vi passa. una donna tenendo un bambino per mano.

Il quadro, strano sopratutto per la grandiosa architettura inconsueta fra noi ed ispirata certo ai fiamminghi (basta ricordare la Madonna di Giovanni van Eyck a Dresda); porta il nome di Raffaello. E se l’attribuzione non persuade, se ne comprende tuttavia la ragione poichè la giustifica il gentile motivo del gruppo mediano che a Raffaello fu caro ed a lui sembra effettivamente inspirato; come lo sono anche le sembianze della Madonna, che sorride in modo poco espressivo, quasi facendo una smorfia. La grandiosità delle architetture con volte a botte, lunette e soffitti a lacunari, con l’edificio di fondo prettamente bramantesco, fa pensare ad un emiliano non immemore di Melozzo in quei particolari; e più che le forme del gruppo maggiore, ci riportano senz’altro alla scuola emiliana i due Santi segnati con fermezza e durezza, tali da ricordarci ancora Ercole da Ferrara. Se si nota poi la mancanza di rapporto nelle proporzioni fra la Vergine allungatissima e 1e altre figure, viene per la Madonna naturale il richiamo alle cose di Domenico Panetti e sopra a tutto dei Cotignola.

Un po’ diverso è invero il nostro quadro per l’intensità dello sfumato e del chiaroscuro che non troviamo in quei pittori; ma c’è un artista. affine agli Zaganelli che mostra una fondamentale educazione ferrarese al quale potrebbe addirsi il dipinto: Antonio Pirri, autore di una Visitazione firmata al Museo Poldi Pezzoli dove gli viene pure attribuito un San Sebastiano dai capelli ricci ed allucciolati come quelli del nostro Zaccaria.

L’attribuzione verrebbe poi rafforzata dalla unica notizia che ci rimane di Antonio Pirri; il quale, in un documento napoletano del 1511, è detto figlio di Manfredo bolognese.

Il dipinto che c’interessa è più vicino alla metà del cinquecento che all’anno in cui l’artefice si trovava a Napoli.

Egli può aver prolungato il suo soggiorno che si spiegherebbe molto bene perchè sono riuniti nel quadro nostro motivi raffaelleschi a ispirazioni fiamminghe sopra un chiaro fondamento emiliano; e come la tavola sia giunta fino in Puglia, la quale se ebbe costanti rapporti con Venezia e con Napoli, non altrettanti ne ebbe con Bologna e le altre città emiliane ».

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Noi, nell’occuparci della nobile famiglia Macario e riproducendo il quadro, per intero e nei suoi dettagli, abbiamo voluto renderlo noto a coloro – e sono moltissimi – che ne ignorano la toccante bellezza.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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