DE VENUTO NICOLA

Nicola De Venuto era nato il l. dicembre 1868 a Giovinazzo ed aveva ereditato dagli avi il segreto di ricavar dalla pietra bianca delle nostre contrade fregi e figure, contorni armoniosi e colonne svettanti.

In lui giovinetto, la semplicità delle abitudini familiari e l’onestà del costume avevano alimentato la stessa sete di mistica bellezza dei nostri scalpellatori antichi, di quegli ignoti artefici che ingemmarono di mostri, di trine e di merletti le romaniche cattedrali e gli Imperiali palazzi del primo e vero rinascimento italico che fu pugliese. Il desiderio di migliorare sempre più il magistero della sua arte portò il nostro giovane artigiano a sentire la necessità di migliorare la sua modesta cultura. Volle così apprendere i primi modesti elementi del disegno, volle conoscere le creazioni dei sommi, volle dare un miglior tono alle sue opere. Il padre gli aveva appreso l’uso degli scalpelli, egli volle aggiungervi a queste conoscenze l’ansia di un tormento nuovo, la coscienza di un compito non strettamente meccanico ed automatico.

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Ma mentre elaborava questo suo perfezionamento, mentre si affacciava ad orizzonti più vasti, ecco che il giovane De Venuto è chiamato ad assolvere i suoi doveri di soldato italiano.

Arruolato nell’arma del Genio, completa la sua cultura tecnica e s’impone alla simpatia dei suoi superiori per laboriosità, per disciplina, per serietà di vita. I primi passi della nostra espansione africana che fin dal 1884 avevano richiesto l’invio di truppe in Eritrea, attrassero il nostro soldato, in una delle nostre spedizioni del 1888. Prese così parte a non pochi combattimenti, ed a Dogali fu ferito e si guadagnò una medaglia di bronzo al valore militare. Il buon scalpellatore si rivelava anche buon combattente. Il suo eroismo s’innestava a quello di tanti altri nostri fratelli ed iniziava la marcia di quella potenza che si conquista col sangue e col sacrifizio e che oggi è stata trionfalmente ripresa dai Legionari di Mussolini.

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Tornato dalla prima guerra italo-abissina con questa azzurra investitura, riprese gli scalpelli così come il contadino reduce riprende l’aratro e la zappa, conscio di aver servito la Patria fino all’estremo suo palpito. La nuova battaglia contro le tremende necessità della vita quotidiana ebbe per lui gli inevitabili collassi e le immancabili riprese trionfali. Ma la crisi economica seguita agli insuccessi delle nostre armi nell’ Africa Orientale lo decise a trovare in altro campo una sistemazione di maggiore continuità e di più sicura tranquillità. Entrò al servizio del Comune di Giovinazzo che volle così premiare il suo valore di soldato. Fu in quel tempo ch’egli potette mirare con insistenza al suo annoso sogno d’amore cui l’avevano allontanato gli alti e bassi della sua fatica aleatoria e mal retribuita.

Si sposò quindi (era il 1895) con una creatura del suo ceto fatta per comprenderlo ed amarlo – Caterina Palma – ed inizia la tessitura di quella famiglia dalla quale egli trarrà conforti e soddisfazioni non pochi.

Le crescenti esigenze della nuova famiglia e, più di tutto, la necessità di tornare a masticare calce e pietre, a tessere voltoni e murate superbe, lo portano a riprendere la sua attività di costruttore.

L’inizio della nuova esistenza è duro, ma egli vince con la sua indomita volontà e con la sua cieca fede nella vittoria dei suoi sforzi.

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Comincia ad assumere appalti di piccole costruzioni private; comincia a costruire edifizi ad uso di abitazioni che poi rivende, prende in cura la manutenzione di strade provinciali e comunali. Ed eccolo alle prese con impegni che non gli dànno tregua e che richiedono la sua assidua vigilanza. Corre, si muove, dà vita a nuovi affari ed a nuove speculazioni sempre legati alla sua attività di costruttore; diventa in una parola un serio e capacissimo impresario edile che gode la fiducia di amministratori pubblici e di privati cittadini. Intanto la famiglia cresce: nascono i figli Giuseppe e Francesco e poi, morto il primo, un secondo Giuseppe e finalmente Michele, i due germani ch’egli vuole esperti nelle costruzioni civili e che avvia pertanto ad un’istruzione superiore.

Si è servito sempre d’ingegneri per le calcolazioni e pei progetti; è bene che nell’azienda ve ne siano della famiglia, pensa il dinamico padre e maestro. Ed i due allievi studiano e si addottorano in ingegneria portando contributi assai rilevanti alla potenza aziendale.

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Il Fascismo afferra intanto le anime dei migliori italiani. Nicola De Venuto abbraccia con entusiasmo la nuova fede e s’iscrive tra i primi al Fascio di Giovinazzo soccorrendo iniziative, sussidiando istituzioni nascenti, ausiliando la azione assistenziale del Partito.

E’ appunto nel periodo di sviluppo di tutte le attività locali potenziate dal Fascismo che l’azienda di Nicola Di Venuto assume carattere di particolare serietà.

I lavori pubblici in piena fioritura lo trovano preparato ad affrontare qualunque impresa edile con particolare riguardo alle costruzioni stradali. Ricordiamo infatti ch’egli, specializzato appunto in manutenzioni di strade, intravede le nuove trasformazioni e si attrezza per eseguire qualunque lavoro di bitumatura e di asfaltatura.

E’ in questo settore ch’egli, ausiliato dai figli già agguerriti e preparati, conquista nuovo credito e nuova considerazione. Affronta il lavoro di pavimentazione e di bitumatura delle strade interne di Giovinazzo collaborando quindi amorosamente con quel Podestà che ha rifatto il volto alla candida città adriatica, e subito dopo il grandioso lavoro di allargamento e di sistemazione della Bari-Carbonara che ha dato aspetto di ampio viale fiorito alla stretta ed angusta strada interurbana del Capoluogo. E la marcia non si arresta: l’azienda allarga e sistema la nazionale litoranea Bari-San Giorgio; esegue un lungo tratto della nuova via della Rivoluzione fra Sovereto e Ruvo; pavimenta le vie interne di Carbonara; esegue la trasformazione a penetrazione di bitume della provinciale Andria-Barletta e, recentemente, assume l’appalto della sistemazione e bonifica della zona Gravina-Poggiorsini e della trasformazione del fondo stradale con penetrazione a bitume della Molfetta- Terlizzi, altra importante arteria di comunicazioni intercomunali.

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Nicola De Venuto, coadiuvato dai figliuoli, si moltiplica e si affatica per mantener fede al suo buon nome, per locupletare il patrimonio familiare, per ispirare la sua vita ai migliori precetti cristiani, esempio mirabile di quel che vale la volontà e la fiducia nelle proprie forze agli effetti della conquista del proprio posto al sole.

La morte, che ne spezza la maschia e possente fibra il 29 novembre ultimo scorso, lo trova sulla breccia, teso a seguire la sua profonda e quasi mistica adorazione del lavoro e della famiglia.

Questa lo ricambiò di uguale amore e ne piange ora la dolorosa scomparsa.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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