DE LILLA SEVERINA

La figura di questa grande educatrice balzata fuori dalla Terra Lucana con tutte le virtù native d’ordine morale e spirituale, con le irrequietezze di questa gente bramosa di uscire fuori dalla cerchia delle montagne solenni, per assorbire dallo scibile e dalla vita quello che più e meglio può bastare a rassodare la saggezza antica; la figura di questa creatura seppe profondere a beneficio della gioventù femminile pugliese i tesori della sua anima protesa a spargere il buon seme dell’etica cristiana, della convivenza civile e dell’amore allo studio, è passata fra quanti la conobbero e fra quante assorbirono da lei indirizzi ed impostazioni di vita morale e di attività pedagogica, come una energia di eccezione.

Di famiglia oriunda di Balvano, in Provincia di Potenza, ella nacque a Padova dal padre Francesco che era colà ufficiale di Cavalleria e da Carmela Di Stasio, appartenente ad ottima e ricca famiglia anche balvanese.

D’intelligenza sveglia, ella frequentò le scuole Normali in varie città ove le peregrinazioni famigliari dovute alle occupazioni paterne, la condussero prima in Piemonte, poi a Napoli ed infine a Potenza. Più tardi frequentò la facoltà di Lettere a Napoli diplomandosi in francese; frequentò molte scuole speciali di Magistero pei Giardini d’Infanzia, per l’Igiene, pei Lavori Femminili, per la Ginnastica, per l’Educazione delle Sordomute e cieche, tutta la congerie di scuole speciali necessarie alla sua istintiva natura di educatrice.

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Era nata per la scuola, ed alla scuola dedicò il meglio della sua prima giovinezza e della sua forte maturità, pensando alle creature della sua casa ed a quelle delle case altrui che furono nella sfera della sua attività pedagogica. Fu infatti l’ educatrice delle sue sorelle e dei suoi fratelli; di Anna che è maestra e che è maritata al rag. Giulio Vernole, di Adele che andò moglie al Sostituto Procuratore del Re cavalier Luciano Ferrara; Angela, maritata Cecere; la dottoressa in ingegneria maritata con l’ing. Luigi Natalicchio; Ester, dottoressa in Scienze commerciali e funzionaria dell’Amministrazione della R. Università, e Mario, che morì da eroe, giovanissimo, in un assalto alle trincee austriache ed ebbe la laurea di Ingegnere ad honorem.

Severina De Lilla venne a Bari nel 1911 da Gallipoli ove era stata Direttrice di quel Giardino d’Infanzia « Edmondo De Amicis » e dove insegnava francese in quella R. Scuola Tecnica.

L’idea fissa di creare un Istituto di educazione per le signorine di buona famiglia della Terra Pugliese e della Terra Lucana nel Capoluogo morale e civile di questa zona l’aveva perseguitata come una ossessione; e qui in Bari ella, nel 1912, pur insegnando francese e ginnastica nelle Scuole Normali, fondò l’Istituto « Regina Elena » che ben presto si affermò come un organismo educativo di primissimo ordine che andò mano a mano ingrandendosi fino a raggiungere, dopo la guerra, il numero di 200 convittrici raccolte nel grandioso edifizio di via Carulli e nelle due succursali, una in via Carbonara e l’altra al Rione Picone con annessa Scuola di ménage domestico per alunne interne.

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La guerra la ferì nel suo affetto più caro, poichè le strappò il fratello Mario, studente del terzo anno del Politecnico di Torino e tenente nell’ottava compagnia del 66. Reggimento Fanteria.

Cadde Mario De Lilla davanti ai forti di Duino « pieno di fede, di slancio, d’ardire, a capo delle sue truppe, nella foga dell’assalto, a pochi passi dal nemico, la mattina del 13 novembre del 1916 » come partecipava il suo colonnello Rosati « con cuore sanguinante di padre ».

La ferì, ma non la piegò; anzi la portò verso nuove benefiche iniziative a favore delle orfane di guerra, tant’è che ella, in un suo scritto introduttivo alla raccolta delle nobilissime lettere di questo eroico combattente, potè scrivere: «Tu sorgi per noi dall’umile tomba di «Case Bonetti» – luce radiosa – e piamente ci accompagni e ci sorreggi e ci illumini là dove l’asperità del terreno ci farebbe pensosi di sostare o di deviare. Spirito purissimo sorgi, e per tal pensiero molce la nostra anima allora quel tuo trapasso eroico, sola adeguata fine ai Tuoi giorni mortali ».

Severina De Lilla fondò infatti una Scuola per orfane di guerra, di cui diventò direttrice e di cui fu guida oculata e materna per molti anni, fino a quando cioè, nel 1928, ella non fu colpita da un male che la paralizzò negli arti e la costrinse all’immobilità per circa otto anni, e cioè fino al giorno della sua morte.

Ella allora si ritirò nella villa Specchio che aveva acquistato dai Nitti-Valentini sulla via di Mola, aperta sul mare a ridosso di un lungo viale di profumati pini, in quella villa ove ella aveva ricoverato le fanciulle del suo Istituto durante le vacanze e dove aveva ospitato i bimbi dei Fasci italiani all’estero nella ricordevole estate del 1928.

La circondava l’affetto dei suoi longevi genitori che son rimasti a piangerne l’immatura dipartita e che pur si erano acconciati a vederla seduta dietro a un tavolo a vederla dirigere col cervello rimasto limpido e fosforescente le cose della sua casa, le cure della sua cristiana pratica caritativa; la circondava l’affetto di tutte le sue sorelle e particolarmente della piccola Ester che era stata come la sua migliore e più cara figliuola e che poi era diventata la esecutrice delle sue ultime volontà tese verso opere benefiche.

Ella infatti, dopo aver ceduto nel 1931, alle suore dell’Immacolata d’Ivrea il suo fiorente Istituto cui aveva dedicato tante amorose fatiche, aveva fondato presso Villa Specchia una Scuola Rurale dedicata alla memoria del glorioso fratello morto; aveva creato un oratorio e si era resa utile all’educazione dei figli dei contadini svolgendo un nuovo e commovente apostolato a favore della giovinezza.

Ella aveva scritto parecchi libri di pedagogia, romanzi per giovinette, novelle e saggi letterari, molti dei quali già pubblicati. Gli ultimi anni della sua vita dedicò appunto al riordinamento di questi scritti e alla creazione di nuove opere pedagogiche. Eccelle fra queste il volume edito dal Laterza nel 1934 intitolato «Figlie di luce» e che dedicò a quelle giovanette «che leggiadre sono nel fiorire», «umile offerta di pochi consigli di vita buona».

Fu fondatrice e direttrice della Rivista per giovanette «Lia», collaboratrice del periodico « Aurora serafica» che rappresentò l’esplicazione della sua devozione per il Poverello di Assisi nel cui ordine terziario volle iscriversi.

Del volume «Figlie di luce» così parlò la « Gazzetta del Popolo della Sera » del 6 agosto 1934:

« Contro la tendenza di una educazione troppo libera, che talora si diffonde oggi, il ritorno a libri di questo genere segna un indirizzo educativo che fa persuasi del rimanere fra noi di un profondo senso morale in base al quale l’educazione delle giovanette va indirizzata.

Severina De Lilla – assai nota nella Regione Pugliese per la sua fervida opera di educazione e di bontà spesa per lunghi anni – ha raccolto oggi in questo libro quel che è, si può dire, l’essenza della dottrina della sua, azione.

«Figlie di luce» sono infatti le figure di giovanette che essa ha educato e che, ora, sparse pel mondo, e non immemori del bene ricevuto dalla De Lilla, riappaiono spiritualmente in queste pagine».

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Che le sue vecchie allieve non l’avessero dimenticata e non l’hanno dimenticata risulta da parecchie testimonianze, non ultima quella che ci viene per via di uno scritto di Francesca De Bellis che fu educata dalla sua insigne maestra.

« Morta già virtualmente – scrisse questa giovane dottoressa sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» del 14 luglio 1936 – e da parecchi anni alla vita, in ogni estrinsecazione – dalla più semplice alla più complessa – del vocabolo, tutta la vitalità degli arti e dei muscoli forzatamente inerti, le si era trasfusa nel cervello e nel cuore, trasformando questo in un rogo d’amore inesausto verso ogni opera o creatura di Dio e quello in una face di spiritualità inestinguibile da cui riverberava – trasumanandosi – la gamma dei patimenti e delle terrene rinunzie!

E benchè orbata di ogni più elementare e vitale automatismo!.. e per quanto già preda, consapevolmente, dalla immota rigidezza d’oltre tomba, la sua morte ci è sembrata incredibile, direi assurda, appunto in ragione di quella, per noi, invulnerabile esuberanza intellettiva che attraverso lo sguardo e la parola sovratutto la parola – si effondeva intorno a lei come il limpido getto di una fonte montana, ricca di miracolose virtù terapeutiche, dalle fenditure della roccia arida e difforme.

Miracolose virtù terapeutiche… Il paragone fornitoci dalla ispirazione momentanea, è forse la immagine più atta ad esprimere il magico potere di quella sua verbosità vigorosa, animatrice, dominatrice e ad un tempo scrutatrice – delle più riposte latebre del cuore umano; e tuttavia illuminata da una vivida freschezza di spirito che è, per noi giovani, la formula ideale di avvicinamento ai severi dogmi dottrinari!

Appassionata studiosa e didatta delle leggi e delle armonie ritmiche che governano la libera espansione dei corpi giovanili nel razionale impiego delle membra (com’è ciecamente iniquo il destino a volte!…) Ella aveva iniziato – sviluppandola e perfezionandola fino ai più alti gradi della introspezione psicologica – la conoscenza e l’analisi dell’anima muliebre determinando, con intuito finissimo e con sagacia senza pari, una perfetta, commovente comunione di spiriti tra sè e le sue alunne e ancor di più le sue pensionanti di quel ben noto fiorentissimo istituto che fu per molti anni il suo legittimo orgoglio, la sua creatura morale, la sua ragione di essere e, senza dubbio, la causa di rimpianto più atroce nella vita che le sfuggiva, allorchè una fatale infermità la costringeva ad abbandonarlo e cederlo per sempre…

Ed alla penetrazione orale, alla luminosità confortante del suo esempio, ella aggiunse il fascino della parola scritta con la pubblicazione di quel soave periodico « Lia » – oltre a una stupenda opera di elevazione « Figlie di luce » ed altre purtroppo inedite – di cui ella fu la direttrice, e insieme la compilatrice e la collaboratrice più entusiasta e più fervida, suscitando, da quelle lievi pagine profumate di virtù, mille piccole energie sopite, fecondando germi di altruismo e di eroismo inconscio, temprando caratteri e coscienze, riversando in ogni palpito il polline della sua anima turgida di bene, così istintivamente e assolutamente fatta per il bene, da riuscire a strapparlo di sotto alle macerie del suo avvenire distrutto e continuare a prodigarlo nel raggio di molti chilometri intorno al suo eremo di Villa Specchio dove ella volle rifugiarsi dal giorno in cui il vano e discorde parere dei clinici pronunziò la sua sentenza e dove, con serena fermezza, o con voluta serenità, ella ha atteso di giorno in giorno, la grande Liberatrice! ».

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Passò così sulla Terra questa eletta donna italiana sollecitando germi di altruismo e di eroismo, temprando caratteri e coscienze, riversando nei cuori giovani il polline della sua anima turgida di bene; e quando, dopo la morte che la colse il 5 luglio del 1936, fu aperto il suo testamento, tutti che l’avevano conosciuta ed ammirata, ebbero un inasprimento della loro ferita, perchè in quel testamento vi è la prova più luminosa del di lei profondo amore per l’umanità e della sua preclara levatura spirituale.

La benemerita educatrice lasciò ai Salesiani la Villa Specchio, un appezzamento di terreno del valore di oltre mezzo milione e l’oratorio annesso alla villa perchè facessero sorgere in quella località una scuola agricola rurale dedicata al nome del tenente Mario De Lilla.

L’eco del vivo e generale compianto per la morte di Severina De Lilla risulta dalle numerose necrologie sui giornali, dalla presenza di personalità alle onoranze funebri e dalla deliberazione presa dal Consiglio di Amministrazione della R. Università, che istituì un fondo per una borsa di studio dedicata all’estinta a favore di una iscritta alla facoltà di Economia e Commercio del nostro Ateneo.

I suoi vecchi genitori e le sue sorelle hanno trovato così la loro giusta consolazione al loro profondo dolore.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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