DE GEMMIS FAMIGLIA

L’errore che si commette generalmente oggi quando si parla di nobiltà e di nobile, consiste principalmente nell’ammettere una differenza recisa tra la natura di essi e quella di tutti gli altri esseri dell’universo.

L’aristocrazia – risalendo alle origini – non esclude l’esercizio – non dirò del commercio e dell’industria – ma anche il lavoro e la modestia delle professioni le più umili: l’essere nobile – come indica la stessa etimologia della parola – consiste invece nel primeggiare in qualsiasi manifestazioni dell’intelletto umano – l’aristocratico è colui che primeggia sugli altri per meriti personali.

Come in tutta I’Italia – dove i Medici furono mercatanti a Firenze – i Chigi banchieri – i Torlonia e gli Orsini agricoltori, i Doria armatori – così pure moltissime illustri famiglie della nostra Puglia, trassero il loro splendore dal commercio e dall’agricoltura. Tra esse – come i Carcano venuti a commerciare da Milano – i Chiurlia dalla Grecia – i Beltrani da Verona – i de Gemmis traggono la loro origine da un ceppo di mercatanti Amalfitani – dal tempo in cui quella repubblica commerciante che inalberò nel suo stemma la bussola di Flavio Gioia e la bianca croce dei cavalieri di Malta – fu pioniera dell’espansione italiana in Oriente.

Come riporta l’Heyot nella sua storia del commercio del Medio Evo – le relazioni commerciali di Amalfì con Costantinopoli ed Antiochia si raggruppano attorno alla storia di una sola famiglia che deve essere stata una delle più vecchie della città; intendiamo parlare di quel Pantaleone console e del figlio Mauro che arricchitosi con i traffici – dona le celebri porte delle cattedrali di Amalfi e di Monte Santangelo – come attestano le incisioni esistenti ancora nei bronzi fusi a Constantinopoli nell’XI. Secolo.

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La discendenza di Pantaleone si estingue in una donna: Tunda la quale va sposa ad un Ursus. Siamo agli albori del Medioevo quando comincia a riprendersi l’uso dei cognomi. Ursus assume quello di de Gemmis come risulta da un atto di compera di alcune terre che si conserva nel famoso Monastero della Trinità di Cava. Dal connubbio del commercio e dell’agricoltura nasce questa famiglia – che dopo molte vicende – fissa nel 1860 la sua residenza nella nostra città di Bari.

Nel secolo XI Amalfi perde a poco a poco il suo commercio – distrutta dai Pisani – viene definitivamente sottomessa dai Normanni e la famiglia di Pantaleone che aveva parteggiato per l’Imperatore d’Oriente – deve ripiegare le sue ali sotto la protezione del nascente monastero di Cava. Nell’oscurità del Medioevo il celebre cenobio benedettino irradia la sua luce su tutta la regione meridionale: e nelle pergamene del suo ricco archivio noi possiamo seguire di padre in figlio il cammino della famiglia. Molti de Gemmis ebbero incarichi importanti nella vasta amministrazione feudale del Monastero, finchè un Bartolomeo si trasferì in Napoli presso il Monastero benedettino di S Gregorio Armeno dipendente dall’Abbazia di Cava.

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Accolto dal favore degli Angioini sostituitisi ai Normanni – Bartolomeo ricoprì diversi uffici importanti tanto che nel 1298 lo vediamo presiedere una riunione di nobili del Sedile di Porta Capuana. Rievochiamo volentieri l’atto notarile ivi steso – per il sapore di attualità dell’argomento ivi trattato: i nobili del tempo. visti le condizioni economiche diverse – l’assedio dei nemici – i bisogni della patria – danno esempio di civismo sancendo in un atto che si conserva nell’Archivio di Santa Severina – l’impegno liberamente assunto di usare per i propri vestiti stoffe che non costassero più di quindici tari alla “canna”.

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Lungo sarebbe seguire minutamente le vicende della famiglia ampiamente documentate nell’Archivio de Gemmis di Bari dove – insieme alle memorie personali – la famiglia conserva una delle più ricche collezioni locali di documenti riguardanti la storia pugliese di tutte le epoche. Accenneremo solo che i de Gemmis ebbero dalla munificenza reale il feudo di Castelfoce nel 1327 e il feudo di Lago presso Avellino nel 1626; Diomede de Gemmis fu castellano di Gaeta nel 1506. Leonardo, Giudice supremo del Regno di Navarra sotto Carlo VNicola borgomastro di Lubecea nel 1452 – Mario strenuo capitano alla battaglia di Lepanto.

Nel fosco 1799 quattro fratelli – de Gemmis Gioacchino vescovo di Melfi – Giuseppe presidente della Sommaria – Giovanni  consigliere della Camera di S. Chiara e Ferrante illustre storico più volte stampato contendono per il primato nelle opere – nella. scienza e nelle virtù civiche e familiari.

Gioacchino fu mediatore tra le orde reazionarie del Cardinale Ruffo e i repubblicani di Altamura e nella monografia di Vitangelo Bisceglia – edita a cura della locale Deputazione di Storia Patria – si contengono molte pagine esaltanti il coraggio e le virtù evangeliche del pastore di Altamura in quei tempi calamitosi di stragi e di efferatezze senza nome.

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Quando nel 1860 l’aristocrazia napoletana combatteva con i Borboni l’ultima inutile battaglia per la conservazione dei privilegi che non hanno nessun fondamento naturale, Nicola de Gemmis insieme al Rogadeo ed al Beltrani fu il capo del movimento Carbonaro in Puglia. Unificatasi l’Italia il Dittatore Garibaldi nominava il de Gemmis primo Sindaco di Bari. Se oggi nessun monumento, nessuna strada, nessun segno ricorda il primo magistrato di Bari costituzionale, i familiari e gli amici ricordano ancora con venerazione l’uomo illustre che amico del Mazzini e del Gioberti – per l’infinito sapere nelle lettere e filosofia, fu più volte chiamato a presiedere le Commissioni esaminatrici di tutti gli Enti Culturali Pugliesi. Oggi la famiglia de Gemmis è a capo di vaste proprietà terriere in varii comuni della provincia, ricordando le origini profonde ogni attività ed ogni cura nell’amministrazione dei propri campi e nell’assistenza morale, intellettuale e finanziaria dei numerosi contadini, che da generazioni ne dividono le fortune ed il lavoro.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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