CASSANO PAOLO

Chi vorrà accingersi a fare la storia del movimento di risurrezione economica e morale della Provincia di Bari che ha portato alla miracolosa odierna primavera di vita e di civiltà sorta nella folta selva di vigne verdi e di mandorli teneri, non potrà fare a meno di annotare e rilevare lo sforzo dei pionieri e degli antesignani che lavorarono e soffrirono per riscattare la sinistra leggenda dell’apatia semiorientale delle nostre popolazioni, per contribuire all’ascesa economica nazionale.

Fra questi pionieri da cui partirono i fili irresistibili di una vitalità paesana che si ricollegava alla qualificazione oraziana del pugliese (pernix apulus) e si appuntava al progresso della città capoluogo, cuore pulsante e fremente dell’intera regione in pieno risveglio, va posto senza dubbio Paolo Cassano.

Scaturite le sue virtù dai sentieri antichi e saldi della stirpe, egli volle giovanissimo crearsi una famiglia e volle subito svincolarsi da ogni controllo di pedagoghi e di consulenti.

Fu di quelli che vissero ed alimentarono quel particolare stato d’animo comune ad una minoranza di spiriti eletti e fattore di quella raggiante atmosfera in cui i robusti propositi e le accese brame di liberazione e di miglioramento fecondavano realtà benefiche e diffuse, contrastavano ostilità di ambienti e di mentalità, portavano a più alti ideali di vita.

La volontà di agire per sè e per gli altri nel campo delle umane attività lo portò a guardarsi d’attorno ed a considerare la necessità di sovvertire l’inerzia della terra e di cambiarla in istrumento di benessere e di ausilio. Franse ad una ad una le barriere che lo dividevano dagli altri e si prodigò in azioni altruistiche.

Dissodò le proprietà terriere ereditate dal padre, le migliorò; comprese che l’agricoltura è fatalmente costretta a subire l’alea della isterica metereologia, il contraccolpo delle deviate correnti di traffici e di abitudini, e diventò apostolo di un’industria parallela all’agricoltura che supplisse ed attenuasse i disagi provenienti dal mancato collocamento dei prodotti.

Ed in queste azioni egli fu insieme guida autorevole di ogni utile risoluzione, animatore di tiepidi, moderatore di audaci, apostolo di concordia, profeta di buona ventura, buono e persuasivo, sagace e giusto, luce e vita dei consessi che si giovarono della sua attiva presenza.

Virtù, famiglia, onore e patria – le più superbe bellezze del creato – furono gli idoli sacri alle sue adorazioni. Ecco perchè la sua vita fu una catena ininterrotta di azioni feconde in cui si incastonarono le purpuree gemme di alcune tappe che hanno rilevante valore per il potenziamento dell’economia provinciale.

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Discendente di distinta famiglia trapiantatasi in Puglia da Milano verso il primo ventennio del 1500 al seguito di Isabella d’Aragona, moglie di Giangaleazzo Sforza, egli nacque il 7 ottobre 1859 dal padre Giuseppe e dalla madre Grazia Tarsia in Curia Instoff, di famiglia patrizia conversanese. Ebbe sei fratelli: frequentò le scuole ginnasiali nel Seminario di Conversano e poi il Liceo in Toscana. La sua prima aspirazione fu quella di diventare ufficiale nel Regio Esercito e fu ammesso, dopo un lusinghiero esame, alla Scuola Militare di Modena ove rimase tutto il primo anno nel Corso. Ma poi fu preso dalle lusinghe del coniugio e dell’agricoltura, abbandonò la Scuola ove si era affermato come uno dei più disciplinati e dei più studiosi, e si sposò ancora giovanissimo.

Nel 1880, quando la sua casa aveva già ricevuto la dolce investitura di un primo figliuolo, egli si diede al dissodamento di un bosco per piantarvi vigna fresca; ed è appunto nella sua masseria di « Marzagaglia» che egli mostrò ai suoi amici ed ai suoi ammiratori il più bel vigneto di Gioia.

Dissoda altre terre e pianta altre vigne ma la crisi della pletora del vino sopravvenuta all’improvviso lo induce a meditare sulle possibilità della trasformazione industriale del prodotto.

D’intelligenza sveglia e corrivo alle più audaci iniziative, egli pensa che la valvola di sicurezza dei produttori vinicoli della nostra Terra debba trovarsi nella distillazione del rosso liquore di Bacco. Compra nel 1891 dall’azienda agraria dei D’Ayala Valva di Taranto un modesto apparecchio di distillazione ed impianta, in un casamento posto sulla strada che da Gioia mena a Santeramo, una piccola distilleria.

Il destino gli fece conoscere molte sventure famigliari che lo addolorarono, ma non paralizzarono la sua febbre di moto e di vita. Egli sa e sente che a muovere accidie e inerzie, che a vincere le avversità della sorte i viticultori hanno bisogno di conoscere il sacrifizio e l’esperienza di uno di essi per poi lanciarsi nella nuova ansia; ed ecco che egli, con l’altruismo che gli è abituale, continua a stillare, in corpore vili, le risultanze che allargheranno il fronte di battaglia e porteranno ad una nuova vittoria dell’ agricoltura provinciale, già lanciata verso luminosi orizzonti.

Assistito dal conforto di una famiglia ove già sorride la larga figliolanza, egli pone nuove energie nella marcia che lo porterà al sicuro successo. Acquista un vecchio mulino sulla strada della Stazione; vi aggiunge nuove fabbriche e v’impianta il primo grande stabilimento per la distillazione delle vinacce e per la rettificazione degli alcool mediante l’invecchi’mento diretto nei fusti di rovere.

Il primo esperimento fortunato dà l’aire ad una azienda che affermerà decisamente il nome di Gioia e della Puglia nel campo delle più fruttifere industrie nazionali.

La produzione di questo stabilimento veniva ceduta quasi tutta alla ditta Ermenegildo Castiglione di Milano ed alle Distillerie Italiane. Ormai il collocamento del prodotto della trasformazione industriale del Vino era assicurato; ormai i nostri viticultori potevano trovare conforto e spinta ad insistere nel loro appassionato lavoro.

Paolo Cassano, uomo – come abbiamo detto – aperto a visioni non strettamente individualistiche, pensa che il suo sacrifìzio dovrà fecondare un più vasto campo di utilizzazione e di sfruttamento. Egli è di quelli che guardano lontano e traggono dalla loro personale esperienza le leggi per universalizzare e propagare nuovi precetti di vita morale ed economica. Pensa che tutta la nostra viticultura possa trasportarsi tutta in un piano meccanico industriale e dare fondamento a opifici di distillazione giganteschi e possenti.

E’ in tutta in questa concezione la vera personalità industriale di Paolo Cassano, personalità che può essere solo uguagliata a quella dei più dinamici capitani dell’industria nazionale dell’Ottocento. Se l’azienda Pavoncelli avesse accolto il suo invito a legarsi in una società che, dalla larghezza dei mezzi e dalla capacità dei capi avesse attinto linfe per affermare nel mondo l’alcool di vino, forse noi avremmo avuto proprio nella nostra Terra di Puglia, il più possente organismo industriale della terza Italia.

Il diniego non lo disarmò: lo confortava a persistere nella fiducia e nell’amore per la sua nuova attività, il successo del cognac « Paolo Cassano ». Questo prodotto si affermava in Italia e fuori d’Italia presso i consumatori più diffidenti, trionfava nelle mostre e nelle esposizioni; copriva mirabilmente le falle e i colpi di maglio inferti alla viticultura pugliese dalla rottura del trattato di commercio con la Francia.

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Si era nel 1895 e già nel nostro Consiglio Camerale le discussioni sul modo di risolvere il grave problema del collocamento della nostra iperproduzione vinicola si erano ispessite in una alterna vicenda di collassi e di speranze, di soluzioni proficue e di trovate negative.

Molte relazioni presentate alla Camera di Commercio ed interessanti questioni basilari per la sorte dei nostri traffici, della nostra agricoltura e della nostra industria hanno l’investitura della sua non comune paternità.

Paolo Cassano portò in quel consesso l’eco delle sue esperienze; e qui svolse attivamente ed assiduamente il suo apostolato per la creazione, la fortificazione ed il potenziamento della industria collaterale dell’agricoltura che meglio rispondeva alle necessità produttive ed ambientali della nostra Terra.

Ma questo apostolato non bastò a portare intorno a lui una corona di capitalisti che avessero inteso la importanza della soluzione prospettata e propagandata da lui. Ond’è che costretto a trovare nuovi sfoghi al suo prodotto, egli creò un tipo di cognac di esportazione che, attraverso la Ditta Cower Dall di Londra, fece conoscere ed apprezzare il prodotto in tutta la Gran Bretagna.

Tentò anche lui di estrarre l’alcool dal mais e, nel suo stabilimento di Gioia, parzialmente trasformato per tale distillazione, ospitò per parecchi mesi operai specializzati venuti appositamente da Dresda. Ma questo tentativo fu abbandonato per ragioni di ordine tecnico. Nel 1905 egli trovò finalmente considerevoli apporti finanziari ed industriali e fuse la sua azienda con quella delle « Distillerie Italiane » del cui Consiglio di Amministrazione diventò Presidente dinamico e lungimirante. Fu una autentica vittoria della capacità industriale ed organizzativa espressa dagli agricoltori pugliesi, fu un trionfo delle sue virtù di pugliese stimato e fedele!

Il suo cognac, con la nuova investitura della Marca « Fides» (chi non ricorda l’ affiche portante in giro per il mondo la visione del cacciatore che si ristora sotto gli sguardi amorosi di un setter inglese?), è assorbito dalla nuova azienda, corre per tutti i continenti e per tutti i lidi, affermando il primato della industre città pugliese, che prende il nome dalla gioia nel campo della industria della distillazione.

Le nuove responsabilità non distolgono Paolo Cassano dall’amore per il natio loco. Fu a Gioia sempre presente e agente in tutte le iniziative che potessero richiedere il contributo del suo ingegno, della sua capacità di organizzatore, della sua pratica caritativa: nel 1910, in piena epidemia colerica, egli distribuisce il cognac agli ammalati; durante le siccite estive distribuisce ai poveri l’acqua potabile del pozzo artesiano che ha creato nel recinto del suo stabilimento.

Un altro lato di questa sua attività di agricoltore e di industriale va degnamente illuminato, ed è quello che riguarda i suoi rapporti con gli uomini del lavoro. Egli ritenne sempre essere una dottrina stolta e delittuosa combattere i lavoratori, pensando ch’essi fossero i veri accumulatori di ricchezza, i risparmiatori più strenui, i mirabili campioni sui quali deve poggiare la forza della razza e della patria.

Perciò andò loro incontro con giuste remunerazioni, col rendere accoglienti ed ospitali le loro abitazioni, coll’attenuare ogni dissidio spirituale fra lui – datore di lavoro – ed essi – prestatori affezionati della loro opera.

Questo suo modo di sentire il contributo di ricchezza collettiva, proveniente dal lavoratore, creò intorno a lui un’atmosfera di cordialità che ebbe le sue migliori manifestazioni nei conflitti per ragioni di lavoro che afflissero per anni Gioia del Colle.

Evidentemente Giosuè Carducci era stato il suo maestro spirituale. Egli certo aveva letto il discorso del grande Poeta pel centenario virgiliano che si concludeva con questa invocazione:

« O Italiani, sollevate e liberate l’agricoltura, pacificate le campagne! Cacciate la fame dai solchi, la pellagra dai corpi, la torva ignoranza dagli animi. Pacificate le campagne e i lavoratori. E l’aquila romana rimetterà anche una volta le penne, e guiderà sui monti e sui mari il nostro diritto e le vittoriose armi d’Italia: Victorisque arma Quirini! »

Anche quando il bolscevismo invadente avvelenò e pervertì il contado della ridente cittadina pugliese e portò quei lavoratori a violenze contro le proprietà private, Paolo Cassano fu rispettato nella sua persona, e nei suoi beni.

I proprietari – secondo lui – dovevano cambiare sistemi di amministrazione e di gestione fondiaria ed andare incontro al popolo con nuova mentalità e novello cuore, in ciò anticipando i canoni di convivenza sociale che il Fascismo ha posto a base della sua azione politica e corporativa.

Egli fu perciò fra i primi ad introdurre la mezzadria nelle sue proprietà, a creare case coloniche confortevoli, ad intendere tutta la bellezza delle campagne confortate dalla pace e dalla fatica ben rimunerata.

Nel 1919 Paolo Cassano è costretto dalla diffusione irreprimibile del suo prodotto e dalla impossibilità di tener dietro alle richieste centuplicantisi giorno per giorno, a creare un grandioso stabilimento per la distillazione dei vini e gitta le fondamenta, nel Capoluogo della Regione, del cui fatale divenire nel tempo egli è insieme fattore ed apostolo, dei padiglioni e degli impianti grandiosi che poi furono assorbiti dalla Ditta Peroni.

Lo stabilimento, legato con raccordo alle Ferrovie (forse il primo raccordo ideato e voluto nella nostra Terra), fornito di mezzi meccanici moderni e perfetti, pervaso dal fragore delle macchine, diventa elemento decisivo alla sempre progrediente economia barese.

La modestia di Paolo Cassano s’impone anche a Bari dove egli si trasferisce con tutta la sua famiglia già sorrisa da larga figliolanza. E tanto modesto egli è che rifiutata la commenda che gli viene offerta in quell’epoca per intervento di autorevoli personalità politiche; rifiuta la candidatura a consigliere provinciale pel mandamento di Gioia ed ai suoi fedeli elettori che, nonostante il suo rifiuto continuano a levarlo sugli scudi e lo esaltano con voti che superano il migliaio, egli scrive una lettera pubblica che testimonia in maniera decisiva la sua fierezza, la sua dirittura morale ed il suo temperamento per natura alieno da ogni esibizione e da ogni profitto.

Quando nel 1912 il decreto Luzzatti espose il Governo del tempo all’accusa di fedifrago, perchè si rimangiò il provvedimento che assicurava ai fabbricanti di spirito l’esenzione delle tasse per dieci anni, e li costringeva a pagare l’intero importo di imponentissimi tributi sui quantitativi di spirito esistenti nei depositi, Paolo Cassano fu costretto a pagare, dall’oggi al domani, circa due milioni di lire.

Fu quel provvedimento inconsiderato e disonesto che spezzò l’attività industriale di moltissime aziende, ma non quella di Paolo Cassano che resistette alla bufera e che permise a lui di dedicarsi poi interamente all’agricoltura.

Si estinse naturalmente anche la marca « Fides » ma il cognac con la marca del suo creatore continuò a peregrinare pel mondo, raccogliendo entusiastici consensi per la sua bontà e per il suo aroma.

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Ripreso dall’ansia di trasformare le sue terre, creò nella sua masseria di Pizzoferro, fra Gioia e la stazione di San Basilio, culture arboree impiantate con sistemi modernissimi e frutteti prolifici di meraviglioso prodotto.

Giunge intanto la guerra ed egli fornisce non poche prove del suo intemerato patriottismo, proclamandosi fra i più accesi interventisti. Nella sua magnifica villa posta a pochi metri dalla stazione ferroviaria di Gioia ebbe la ventura di ospitare il Poeta, che dallo scoglio fatidico di Quarto aveva squillato la diana della riscossa per la quarta Italia.

Quella villa è ormai legata alla leggendaria impresa di Cattaro che Gabriele D’Annunzio portò audacemente e felicemente a compimento ed al ritorno dalla quale manifestò il desiderio che Gioia del Colle venisse chiamata Gioia della Vittoria.

Dal Poeta, Paolo Cassano ricevette testimonianze di sincera amicizia e di particolare estimazione.

Il Poeta Soldato trovò nella villa ospitale quel che abbisognava al suo spirito proteso in aneliti di guerra, tant’è che, scrivendo alla sua amata figlia, moglie del comandante Silvio Montanarella, così telegrafava: « Credevo di vivere in campagna ed invece sono alloggiato in una reggia ».

E davvero regale è la dimora che l’ottimo architetto Pinto di Gioia ha costruito fra gli eucalipti e le palme di un parco giovinetto, investendola di eleganti ed armoniose linee lombardesche, dotandola di ricchi e sontuosi saloni, di raccolti e caldi ambienti di riposo.

Rientrando dall’audace impresa vittoriosa, così Gabriele scrisse dopo il simposio di esaltazione gioiosa in un album di casa Cassano, che porta anche le firme dei compagni di volo del maggiore osservatore:

« Ecco che Gioia del Colle si può oggi chiamare per noi Gioia della Vittoria e anche Gioia dell’Ospitalità, specialmente per questa casa dove il cuore è ampio come le stanze e la gentilezza è schietta come la luce.

Ieri io presi la mia fortuna dalle mani e dalla grazia di una di queste «musmè» di Puglia, sotto la specie di Santo Francesco. E la fortuna ci accompagnò miracolosamente nell’impresa temeraria, dal principio alla fine.

Nè ci lascia, giacchè stasera possiamo festeggiarla a una mensa così cordiale.

Ai nostri ospiti, levando il bicchiere coronato di gratitudine, eia! eia! eia! alalà ».

A questo documento d’italianità va aggiunta un’altra testimonianza d’amicizia: il ritratto a sanguina del Poeta offerto con questa dedica: « Ut vehementius ardeat -Frate Focu ».

Anche il periodo della guerra fu fecondo per Paolo Cassano di opere e d’iniziative. Egli fondò infatti un’altra azienda industriale, insieme con altri amici e affrontò altre iniziative utili all’economia provinciale. Il dopoguerra lo trovò pronto a portare la sua parola equilibratrice nei conflitti del lavoro, deciso ad accettare il verbo che si partiva dall’Uomo espresso dall’Italia per la sua salvezza nell’ora dello smarrimento e della deviazione.

Per la sua competenza in materia di esportazioni fu poi eletto componente del Consiglio Nazionale per le esportazioni; ed in questo importante consesso portò il contributo della sua forte esperienza, riuscendo ad affermare nazionalmente alcune sue idee sul meccanismo dei traffici con l’estero.

Per le sue virtù di agricoltore e di organizzatore d’industrie, legate alle sorti di una intera regione in piena rinascita, fu nel marzo del 1929 nominato consigliere generale del Banco di Napoli e componente del Consiglio Corporativo dell’ Agricoltura. Fu il primo presidente dell’Unione Fascista degli agricoltori e durante tale lusinghiero incarico impostò e risolse problemi di non lieve importanza.

Per tutta questa vita contesta di virtù e di nobiltà nel campo famigliare, nel campo agricolo e nel campo industriale, la sua morte ha avuto corali echi di compianto.

Disse Ovidio ch’è felice colui che muore in piedi « inter opus ». Ed egli cadde fra le sue opere, fra i suoi figli amatissimi e fra i richiami dell’agricoltura nuova, cui aveva dato azioni da innamorato.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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