CARACCIOLO DON MARINO

La distesa delle Matine fra la Masseria Torretta e Viglione è ancora nei nostri occhi come in quel giorno di maggio in cui il maestro metteva brividi di onde sulle alte biade ancora verdi. 

Quì l’incanto delle grandi distese di campi che pur ieri hanno dato la messe di oro e che nelle stoppie conservano dell’oro tutti i riflessi balenanti, s’impone al pensiero così come allora s’impose al nostro sguardo; ed una parola semplice e grande sgorga allora nel nostro cuore a sintetizzare una visione, una storia, una epica storia di lavoro, di fede, di ostinata certezza. 

Questa storia è una storia recente, ha soltanto trent’anni di vita e porta segnato un nome, quello del marchese Marino Caracciolo

Chi si vorrà occupare degli sviluppi della redenzione terriera nella Puglia non potrà dimenticare questo magnifico esponente di una stirpe di Prelati, di Principi e di maestri del colore e del giure che, abbandonando le mollezze della vita mondana partenopea, si piegò ad ascoltare la segreta voce della terra per farne scaturire accese realtà di rinascita e di vita. 

Prima che la volontà Mussoliniana, operante nel grande crogiolo eroico dell’ltalico destino, avesse esaltata la necessità di redimere le nostre pIaghe dal retaggio oscuro della palude e della malaria, questo pioniere intuì, fin dal 1902, che nella figurazione religiosa e biblica del pane quotidiano per la Patria italiana occorreva una fede militante, occorreva un travaglio pieno e dinamico. 

***

Nel 1902 sorge nel cuore e nel cervello di questo nobiluomo il progetto lungimirante di dare altro tono ed altro indirizzo all’amministrazione dei suoi beni terrieri, di toglierli dallo sfruttamento ad oltranza operato da fittuari pensosi solo dei loro personali interessi e lontani dal senso augusto della fatica redentrice. Nel 1903 scadevano i contratti di affitto; gli affittuari ne approfittarono per succhiare dalla terra le ultime linfe, per imporre riduzioni di estagli, per prendere alla gola il proprietario fino ad allora assente. 

Sbagliano essi di grosso: don Marino Caracciolo vigilava sulle sorti della sua proprietà ed andava già costruendo nella sua vigile ed attivissima mente i presupposti iniziali di una redenzione che avesse migliorata la terra e dato maggior frutto alle rendite che andavano progressivamente riducendosi. Consentiva la moglie donna Giulia, figlia del Senatore Rogadeo don Eustachio. Volle svincolarsi dalle strettoie degli affittuari locali e fece conoscere sul « Coltivatore » del benemerito Ottavi di Casal Monferrato che qui in Puglia c’erano delle terre capaci di offrire ancora tesori a chi l’avesse sapute amare ed intendere. 

Egli sente che per dare nuova fecondità alle sue terre (che comprendevano allora le due massserie « Viglione » e « Montefungale », i seminativi ed i boschi della Parata, a sinistra della strada che da Santeramo mena alle Matine, le masserie «Terra di Bove» contigua al bosco verso il fondo Valle e la tenuta « Morsara », priva di fabbricati rurali; sente che, per imporre nuovi orizzonti alla conduzione delle sue tenute occorreva la direzione di un tecnico, innamorato del suo mestiere, amante della terra delle sue lusinghe e delle sue percosse, un uomo che avesse integrato, con l’aiuto della sua competenza, gli sforzi e le intenzioni del nobiluomo proprietario. 

Questi aveva letto i libri di Padre Bonsignori, il fondatore della prima colonia agricola italiana, quella di Remedello di Sopra, in Provincia di Brescia, e si era entusiasmato alle innovazioni introdotte nella tecnica agraria moderna dall’illustre docente. 

Scrisse a Padre Bonsignori e questi gli fu largo di preziosi accorgimenti sovratutto lo indusse ad assumere in servizio come direttore dell’azienda agricola un suo vecchio allievo, un giovane pieno di verdi entusiasmi, lavoratore instancabile, tecnico capace ed intelligente, Estore Donini. 

Il Donini era nato a Seniga da un farmacista che aveva ereditato dagli avi tutte le domestiche virtù che contrassegnano il fecondo patriarcalismo italiano. Egli era il sesto di tredici figli, e dopo avere frequentata la scuola inferiore di Remedello di Sopra, fu avviato a Brescia per frequentarvi quella scuola media agricola donde ne uscì licenziato nel 1902. 

***

L’invito del Marchese lo trovò ancora alle prese con la volontà di sistemazione, con il desiderio di far fruttificare utilmente le sue esperienze, la sua laboriosità abituale, il suo buon costume ereditato dalla famigliare tradizione. 

Aveva ventiquattr’anni quando venne a Santeramo ed ebbe il primo colloquio col Marchese: i due spiriti si incontrarono, si compresero e si apprezzarono reciprocamente: il Marchese aveva fiducia nella trasformazione agraria dei suoi beni, il giovane aveva fiducia nelle sue forze e nella sua brama di affermarsi.

Il fittuario De Giorgio in quell’epoca aveva raggiunto il primo anno di affittanza e non poteva pagare l’estaglio. Il Donini impose alla conduzione della Masseria Montefungale nuovi sistemi di coltura, nuovo ordine e nuova dIsciplina. 

S’impianta un maestoso viale di gelsi, ma gli alberi deperiscono per mancanza di cure; s’impianta una vigna ma questa non si sviluppa, anche perchè, non essendo di ceppo americano, dona facile esca all’invasione filosserica. In effetti il De Giorgio, pur animato di buona volontà è un disordinato conduttore di terre, ha una esagerata fiducia nei suoi collaboratori e sovratutto compie ogni cosa alla carlona, con faciloneria inidonea alle funzioni del fittuario. 

Il Donini non può compiere in questa masseria la sua benefica azione perchè si scontra con i diritti dell’affittuario; può fare meglio nella masseria Viglione ove trova due mezzadri, un tale Putignano ed un tale Barberio. I due, pur avendo un contratto sessennale, se la squagliano dopo il primo anno, in vista del poco rendimento delle terre. Eppure il Marchese aveva quell’anno provato su trenta tomoli di terreno un nuovo portato della tecnica agraria, il sovescio! Gli è che l’operazione era riuscita male per mancanza di aratri eversori. 

Il Donini si dette da fare per trovare un altro mezzadro con il quale si fece un contratto biennale a titolo di esperimento con l’obbligo di condurre le terre più razionalmente. Questo evento rappresentò un certo inceppo per le nuove esperienze desiderate dal marchese; però nel primo anno per una metà della masseria e nell’anno successivo per tutto l’intero fu affrontata la conduzione diretta delle terre. 

Si era nel 1907 ed il Donini comprese subito che per far resuscitare quelle terre occorreva sgramignarle con sollecitudine. Furono acquistati quattro paia di buoi di razza romagnola al mercato di Cesena e furono acquistate quattro vitelle per allevamento ed un torello dall’ing. Leopoldo Tosi, grande allevatore di S. Mauro di Romagna. Per iniziare una produzione lattifera adeguata furono comprate da Portici due vitelle Simmenthal, ottime per carne e per latte. 

S’iniziò così un vero ed autentico allevamento bovino con incroci fra la razza romagnola e la razza Simmenthal; s’impiantò un regolare registro genealogico, e si raggiunse ben presto un vistoso patrimonio bovino di 50 capi, patrimonio che utilizzò, per pascolarvi, il bosco della Parata. 

***

Il 1909 segna una data importante nella storia della redenzione della proprietà terriera del marchese Caracciolo. Ben dodici paia di buoi sono impiegati nell’aratura delle sterpose terre di Viglione che in breve tempo diventano produttive ed ubertose. A Viglione s’impianta un esteso vigneto, un campo sperimentale per frutticultura, la coltivazione del grano acquista toni di massimo rendimento. 

Don Marino comincia a ricevere i frutti della sua intuizione e della sua fede nei nuovi sistemi di cultura, ma nel 1913 è colpito a Karlsbad da una morte immatura. Si opera di otite ma, perchè diabetico, muore a 58 anni prima che l’operazione si compia. 

L’unica figliola di don Marino, la Principessa Anna, che nel frattempo aveva sposato il suo secondo cugino, don Francesco Caracciolo Carafa, continua nella fiducia paterna accordata all’abile collaboratore. 

Viene la guerra ed il sig. Donini è richiamato sotto le armi ma non trascura di assistere i campi che sono diventati le terre del suo cuore e riesce ad ottenere una licenza agricola che lo pone ancora una volta a contatto delle tremende responsabilità che don Marino gli aveva affidato. 

Un’altra disgrazia rinnova il lutto della famiglia Caracciolo: il Principe don Francesco muore a 35 anni nel febbraio del 1916, ufficiale di cavalleria richiamato in servizio per la guerra. La madre donna Giulia, con molti sacrifizi, continua, conscia della santità della consegna ricevuta dal padre e dal marito, sulla scia della legge di vita segnata da don Marino Caracciolo. L’azienda agricola della famiglia è premiata infatti durante la guerra come una delle migliori aziende pugliesi al servizio della causa della vittoria e della resistenza interna. 

Intanto scade il fitto della masseria Montefungale e nel 1923 scade il fitto della masseria Morsara che già nel 1904 aveva ricevuto la sua grande casa rurale ed i suoi grandi ricoveri per il bestiame. 

In quest’anno si pensa che sia finita l’epoca della trazione animale e che bisogna introdurre nelle colture la trazione meccanica. 

Gli allevamenti di razza romagnola sono eliminati e si passa invece all’allevamento del bestiame da latte. Sono acquistate in Lombardia 20 vacche svizzere ed un torello. Tutte le tenute sono poste a cultura moderna. La vedova marchesa Anua sorveglia l’andamento dell’azienda assistita dal suo figliolo, l’unico che g!i è rimasto di una dolorosa ecatombe famigliare, e raccoglie i frutti vistosi della sua fede e perspicacia. 

Ormai l’azienda Caracciolo è una delle più agguerrite della Puglia. Questa verità è testimoniata da cento riconoscimenti ufficiali: premi per allevamenti, premi per la battaglia del grano, premi per le culture speciali. 

Tutti coloro che vogliono introdurre nuovi sistemi nelle loro aziende devono ricorrere a queste testimonianze per averne indirizzi ed ammaestramenti. 

La bonifica delle Matine, voluta dal Duce e perseguita dall’Opera Nazionale dei Combattenti trova le terre dell’azienda Caracciolo pronte a riceverne la benefica influenza.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

Edizioni Giuseppe Laterza srl
Bari, piazza Umberto I n.29 – Tel. 345 623 6207 – Email info@edizionigiuseppelaterza.it

Consulta la pagina dedicata sull’edizione storica: