CAPRUZZI GIUSEPPE

Il 19 maggio 1847, nella Parrocchia di S. Silvestro in Bitonto, da Pietro Capruzzi, distinto avvocato e da Eleonora Curzio (andata sposa a Pietro Capruzzi il 12 settembre 1842), nacque Giuseppe Capruzzi, tenuto a battesimo dal Rev. D. Ignazio Casalini. 

Con Giuseppe Capruzzi nasceva un giureconsulto di tempra romana e uno dei più rappresentativi ed eminenti uomini politici del Mezzogiorno d’Italia. 

Compiuti felicissimamente gli studi liceali nel Seminario di Bitonto – allora fecondo seminario di liberali dottrine – Giuseppe Capruzzi a soli 16 anni partiva per l’Università di Napoli. Qui, fu caro ai maggiori Maestri dell’epoca e a 20 anni tornò laureato in giurisprudenza. Suo padre, morto il 13 settembre 1862, « lasciando di sè imperitura memoria», come è scritto nelle cronache e nei giornali dell’epoca, non vide il ritorno del figlio laureato. Ed il giovane, sentendo imperioso il bisogno di dare alla attività del suo ingegno una più vasta palestra, si trasferì con la vecchia madre a Bari, dove, cinque anni dopo, in età di 25 anni, impalmava Palma Anna Pesce, della intellettuale famiglia molese. 

A Bari si distinse subito come avvocato di grande valore, assolutamente « fuori classe », come si direbbe oggi, e cominciò a crearsi quella fama di dotto giurisperito, che, rassodandosi sempre più negli anni, doveva fare di lui un «giureconsulto» nel vero significato della parola.

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Nè egli neglesse gli studi politico-sociali, se troviamo che nel 1879 pubblicò un libro « Dell’incapacità giuridica degli Enti Ecclesiastici di fare nuovi acquisti » (Bari, aprile 1879). Detto volume riallacciando il suo pensiero di giurista a quello del filosofo Genovesi sull’ argomento, oltre che per profondità di acume giuridico, è notevole per spigliatezza di stile polemico, vivace, ma sempre garbato e signorile. Il libro fu ampiamente e variamente discusso negli ambienti e nei circoli competenti, e valse a mostrare la preparazione rigorosamente scientifica di Giuseppe Capruzzi nelle discipline giuridiche ed a conquistargli le simpatie dei maggiori uomini del tempo, e fin di opposte tendenze, da Bovio, a Imbriani, a Nicotera

Il 31 maggio 1879 fu inviato a Roma, con una Commissione Municipale, a sostenere presso il Ministero di Grazia e Giustizia il diritto di Bari ad essere sede di Corte di Appello, diritto che tanti anni dopo doveva essere riconosciuto e attuato dal Duce. 

Già da parecchio, nella vita pubblica della Città, nelle elezioni parziali del luglio 1886, con Giandomenico Petroni, Tommaso Columbo e Antonio De Tu1lio, fu mandato al Consiglio Comunale, fin che, eletto assessore nel novembre, dopo tre mesi di crisi si ebbe una nuova Amministrazione di cui fu capo il Capruzzi (G. Petroni, « Della Storia di Bari », pag.127). Detta Amministrazione si scioglieva dopo 20 mesi di governo, perchè, avendo Bari superato i sessantamila abitanti, aveva diritto ad una rappresentanza comunale di 60 consiglieri. Con Decreto dell’8 aprile 1887 il Prefetto ordinò lo scioglimento dell’ Amministrazione autorizzando la medesima a rimanere in carica fino al definitivo insediamento della nuova rappresentanza ( Ved. La Sorsa, «La Vita di Bari», pag. 237). Le nuove elezioni generali ebbero luogo il 26 agosto 1887 e vinse, con grande maggioranza, il partito progressista, capitanato da Giuseppe Capruzzi. Durante questo periodo amministrativo il Capruzzi risolse il problema delle acque potabili, e quello della pavimentazione di tutta Bari, con la quale opera – monumentum aere perennius – si elevava Bari da polverosa borgata, al rango di linda e decorosa città. 

Questa sua amministrazione durò fino al 31 maggio 1890, e dette la successione al Sindacalo di Carlo Infante che, per gli obblighi assunti come segretario della Camera di Commercio, si dimise nell’agosto del 1890. Seguì l’amministrazione del dott. Bottalico, dello stesso partito del Capruzzi, che governò saggiamente nel 1891, fin che non fu necessità sciogliere il Consiglio. 

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Seguirono gli anni che lo Storico di Bari chiamò della « crisi economica », terminata con la trista reazione provocata dalla venuta del generale Pelloux a Bari, con le terribili giornate di rivolta barese del 27 e 28 aprile 1897 e con la caduta della Amministrazione Re David. Passata la bufera, il R. Commissario, che reggeva la Città, attese a riorganizzare i pubblici servizi. Terminato il periodo del R. Commissariato, tornò fervoroso il movimento elettorale (1898). « Era una confusione generale, un ibridismo di partiti, da cui si salvava appena l’associazione democratica », scrive nell’opera citata (pag. 390) il La Sorsa. Il migliore risultato l’ebbe, perciò, il partito di cui era capo l’on. Capruzzi che riuscì capolista con 2013 voti. E fu rieletto Sindaco con maggioranza di voti. 

Come prima cosa, e si può dire « magicamente », come fu scritto, rassettò le finanze comunali, trovate stremate. Basterà dire che il Comune di Bari aveva debiti per 30.852.000 lire! Occorrevano circa 700 mila lire l’anno, per pagare le quote ai creditori! Il Capruzzi, allora, con abilissima manovra, che qui sarebbe lungo esplicare, riscattò le obbligazioni del prestito Compagnoni, il che dette luogo al completo riscatto dei prestiti comunali e provinciali. Dette, inoltre, grande impulso alla istruzione elementare, portando le scuole al numero di 115, migliorò i servizi pubblici, accrebbe il numero dei medici condotti, illuminò fino agli estremi rioni la Città, col nuovo mezzo d’illuminazione: il gas. 

A questo fecondo periodo di Amministrazione Capruzzi, seguirono altre Amministrazioni, ma nel 1910 il Capruzzi fu ancora Sindaco di Bari (è in questo periodo che egli progettò le maggiori opere, tra cui quella del Lungomare di Levante – Assessore dei L. P. l’Ing. Mauro Amoruso-Manzari, progettista – che poi sono state rapidamente attuate nel clima realizzatore fascista) nella quale carica morì il 25 marzo 1912. 

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Se questa, per sommi capi e in rapidissima sintesi, l’opera amministrativa di Giuseppe Capruzzi, non meno importante è la sua figura politica. L’opera del giurista, cristallizzata nelle migliaia di Memorie, monografie, allegazioni difensive, può di leggieri rilevarsi dai tecnici delle dottrine giuridiche, ed è opera che attende ancora il suo sistematore. 

Della sua opera politica avremo detto abbastanza, per queste fuggevoli note, col rilevare che Giuseppe Capruzzi fu patriota, nel più alto significato della parola. Giovinetto ancora, si sentì garibaldino e mazziniano, fino ad osare di mettersi in aperto dissenso e contrasto con suo padre, fedele borbonico. 

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Deputato al Parlamento per più legislature e sempre per il Collegio di Bitonto, Terlizzi, Giovinazzo (fu una volta anche candidato per il Collegio di Gioia del Colle) il mandato legislativo intese quale rappresentante della Nazione e non quale esponente di clientele locali, alle quali fu sempre irriducibilmente avverso; mai servo dell’elettore, che conosceva il Capruzzi come il Deputato che « non faceva piaceri», era, peraltro, sempre lieto di potere rendere un atto di giustizia o difendere la causa di un oppresso. Fu crispino, e solamente crispino, e quella del grande Statista fu la sua politica, fedele fino al punto di rifiutare il portafogli di Ministro di Grazia e Giustizia offertogli per ben due volte dal Marchese Di Rudinì, solo che avesse abbracciata la politica giolittiana. Di Giolitti ammirò molte opere, ma non condivise il « giolittismo » nella forma poliziesca in cui si esplicava nei « ludi cartacei » dell’epoca. 

Più che liberale, fu progessista, nel senso più evoluzionista e spenceriano.

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Propugnatore della prima campagna d’Africa e del diritto d’Italia sui mari della Sirte, fu a capo dei « Dodici », che nel triste giorno in cui Crispi cadeva sotto i ludi cartacei di un Parlamento degenere, votarono ancora per lui al grido di « Delenda Cartago! », quel grido che, dopo 40 anni, il Duce ha raccolto e trasformato in vivente luminosa realtà. 

Rude, ma profondamente buono, severo più con sè che con gli altri, ebbe avversari molti, mai nemici. Di lui fu scritto che, per mente ed animo, nato in Roma antica, avrebbe tenuto il suo posto fra Cicerone ed Ortensio. 

Dopo la morte fu ritenuto « il Giusto », chè egli stesso ripeteva: « E buon per me se la mia vita intera mi frutterà di meritare un sasso, che porti scritto: Non mutò bandiera! »

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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