BIANCHI PIETRO

Nel Medio Evo la famiglia Bianchi si divise in quattro rami principali, il fiorentino, l’alessandrino, il cremonese e l’ orvietano; e quasi tutti i rami conservarono l’antica arma di famiglia « bandato d’oro e d’azzurro alla fascia d’argento ».

Lo scudo bandato era considerato in Italia distintivo ghibellino, l’azzurro era simbolo di lealtà e di fedeltà, l’argento significava purezza di costumi e gentilezza d’animo.

Verso il 300 sorge anche per via di un gentiluomo bolognese stabilitosi in Napoli nel 1290 al seguito di Carlo II lo zoppo, un ramo napoletano della famiglia Bianchi.

Da questo ramo si partono i Bianchi di Bari e di Monopoli che nel 1862 ottennero regolare riconoscimento di nobiltà. Anzi nel 1693 un Bianchi acquista il feudo di Montrone sul quale poggia il titolo di Marchese.

Tradizione costante in questa illustre famiglia è stata l’attaccamento alla Patria sicchè un Bianchi sarà un perseguitato borbonico ed un Rossi, don Angelo, imparentato per via di un fratello con i Bianchi, smetterà l’abito talare per seguire Garibaldi. Pietro Bianchi, tolto da un fulminante male alla sua famiglia, agli amici, ebbe ad ereditare in pieno queste virtù, patrimonio della sua famiglia.

L’avvocato Giuseppe Bianchi, avendo vinto un concorso nell’Amministrazione della Dogana, ebbe un suo ufficio a Cagliari e quivi si imparentò con la famiglia Mercedes legata al famoso sansepolcrista Porti.

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Morto il padre nel 1909 a soli 35 anni e poco dopo la morte della madre, il piccolo Pietro, orfano dei genitori, fu accolto nella casa dello zio Don Marco Bianchi (nato il 4 maggio 1880 e morto l’8 maggio 1936) che lo allevò come figlio.

Superati gli studi primari e secondari, egli si dedicò esclusivamente all’agricoltura, curando dapprima i poderi familiari e poi dandosi anche ad altre industrie parallele dell’agricoltura. Don Marco Bianchi, canonico fin dal 1911 della Cattedrale di Monopoli, non era uomo comune. Si ricorda di lui un ricorso per via ecclesiastica fatto per stabilire alcuni diritti dei « fuori numero » della Cattedrale, ricorso in cui non si sa se più ammirare l’acume dell’argomentazione ovvero l’abilità polemica.

Egli era l’uomo che viveva nella stessa orbita culturale del parente avvocato Angelo che si era affermato brillantemente nello studio del Prof. On. Semola dell’ Ateneo Napoletano.

Le benemerenze agricole di Pietro Bianchi sono diverse e riguardano sia il campo del miglioramento agrario in genere, sia quello della bonifica integrale e quindi sociale delle campagne da lui amministrate.

Nei suoi poderi di Montecascione, di Santa Margherita e Santa Lucia aveva già introdotto magnifiche piantagioni di ulivi e di mandorli ed aveva anche bonificato terreno roccioso e cespugliato rendendolo produttivo e consolatore. E quando in seguito alla morte del compianto suo zio, di colui cioè che lo aveva paternamente assistito durante la sua giovinezza, venne in possesso di un considerevole comprensorio di terreno con annesso fabbricato rurale denominato San Vincenzo, egli, non soltanto lo migliorò e lo trasformò, ma vi introdusse la lottizzazione e la concessione a mezzadria ai braccianti più poveri di Monopoli.

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In armonia con le trasformazioni terriere, egli sistemava modernamente i vecchi fabbricati rurali angusti ed inadatti al nuovo ritmo impresso alla conduzione e vi impiantava nuovi opifici al servizio della produzione agricola, vi introduceva abitazioni coloniche e tutti i servizi accessori.

Durante le deprecate sanzioni, egli, mentre introduceva nei suoi uliveti .le culture cerealicole infrangendo così un vecchio pregiudizio locale, rilevava una vecchia fabbrica per la distillazione delle vinacce e, affrontando non lievi sacrifici, la poneva in grado di efficienza.

Altro titolo di benemerenza di l’ietro Bianchi fu l’apostolato che da lui fu svolto onde far sorgere nella sua proprietà ai San Vincenzo un villaggio agricolo da intitolarsi al Quadrumviro Michele Bianchi.

chi fu l’apostolato da lui svolto onde fare fetto, possiamo dire che passò beneficando, dedito al lavoro, innamorato della sua famiglia e dei campi. Ebbe altissimo il senso dei suoi doveri di cittadino.

Ottimo padre di famiglia, egli avviò i suoi due figli maschi agli studi secondari ed educò le due femmine nell’Istituto Margherita di Bari.

Vero apostolo per l’agricoltura, egli merita tutto il memore ricordo di coloro che guardano i problemi della terra come a quelli più idonei a forgiare le nuove fortune dell’Italia Fascista.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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