BARILE RAFFAELE

La storia di una laboriosità fortunata si ripete anche per Raffaele Barile di Terlizzi. Di modesta famiglia, suo padre, lavoratore tenace e instancabile, conduceva con sè il ragazzo tredicenne, nel pellegrinaggio del lavoro, di paese in paese, fin tra le montagne della Lucania, per il commercio del grano. Vendevano insieme il prezioso cereale per le piazze dei borghi e delle cittadine e Raffaele Barile, ragazzo intelligente e sveglio, coadiuvava fin d’allora il genitore in questo commercio che doveva poi essere la base e la ragione della sua meritata ricchezza. Così fino all’età di diciannove anni, fino a quando, cioè, accasatosi e uscito dalla famiglia, Raffaele Barile non vide spaziare davanti alla sua attiva volontà, un campo assai più vasto di lavoro e di fortuna. Un grave infortunio lo colse in questo periodo di tempo, allorchè, rincasando su di un traino durante la vigilia di una festa del paese, cadde e si ferì gravemente ad una gamba. Costretto a rimanere immobile a letto per un lungo periodo di tempo, le sue facoltà attive si acuirono maggiormente durante tale periodo di inazione e, una volta guarito, tornato al lavoro, formò con Michele Chieffi e De Lucia una società per la compra-vendita del grano.

Lucro ancora limitato, ma tale da permettergli, di lì a poco, di prendere in fitto un frantoio e qualche podere ad uso industriale.

Di una onestà a tutta prova, Raffaele Barile ebbe credito presso il Banco di Napoli e così nel 1873 fu in grado di impiantare, insieme ai due soci, un molino di loro proprietà.

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Dopo quindici anni, la Ditta cambiò nome, essendosi sostituiti ai due primi soci la « Barile e Guglielmi ». Ma nel 1890, liquidato di comune accordo anche quest’altro socio, Raffaele Barile rimase unico proprietario e intestatario della Ditta, la quale, da allora, ebbe uno sviluppo celermente prodigioso, che ben presto si estese anche ad altre speculazioni. Coadiuvato in maniera eccellente dalla prima moglie, Maria Michela De Noja, estese ben presto la sua attività all’acquisto di bestiame, mandorle e vari altri prodotti del suolo, ciò che portò l’attività della Ditta a un contingentamento di affari in grande stile e ad importanza peculiare. Privo di figli, Raffaele Barile, diventato ormai vecchio, fece procura amministrativa al nipote, figlio di una sorella, Francesco De Chirico, il quale, interrotti gli studi tecnici commerciali, si dedicò tutto agli affari dello zio con quella solerzia e passione che lo distingue anche presentemente. Le tradizioni della vecchia e autorevole Ditta continuano sotto la sua oculata direzione. Egli mantiene tutta l’efficienza d’un nome autorevole e di una produzione qualitativamente e quantitativamente assai forte. E’, quella sua, l’azienda tipo per una perfetta organizzazione lavorativa e produttiva, non priva di alcun requisito morale e patrimoniale che meritatamente le hanno acquistato l’autorità commerciale che ha sempre goduto. Lo aiuta il figlio Carmine.

Carattere energico e risoluto, il De Chirico intuì subito nell’avvento del Fascismo una sicura garanzia per lo svolgersi ordinato del lavoro realmente produttivo, ed è fascista fin dai primi giorni del marzo 1920.

Ha preso parte alla Marcia su Roma, con quello spirito e quell’entusiasmo proprio alla sua convinzione politica, né ha chiesto mai ricompensa alla sua fedeltà di combattivo gregario, pago soltanto della certezza che anche la sua opera ha contribuito, in passione e modestia, alla marcia in avanti di tutta la Nazione.

Per la persona del prozio, Carmine De Chirico, conserva fede ed ammirazione, come a colui cui deve la fortuna del censo e del nome sociale.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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