VIRGILIO E MASTRONARDI

Il pedegrée della Ditta Virgilio e Mastronardi, formidabile attrezzatura della industria e del commercio peschereccio nazionale, ha origini note in Domenico Mastronardi e Nicola Virgilio, baresi.

Come le colonne d’Ercole, essi, per noi, costituiscono la barriera delle conoscenze in merito alla Ditta, e Natale Mastronardi, che è un potente mercante marino, ma che è ricco anche di verve tutta barese, così tronca le nostre indagini: « Prima di noi c’era quello », ed indica il mare.

Ed è a dire che un giorno Don Domenico Mastronardi doveva segnarsi di croce solo a sentir nominare Don Nicola Virgilio. Come se avesse sentito il diavolo! Cocciuto come lui, spavaldo come lui, tenace come lui! Erano venuti su, forse una barca contro una barca, due barche contro due barche, fin quando le cinque bilancelle dell’uno avevano guardate minacciose le cinque paranze dell’altro che vele e che alberi e quali chiglie, da far lusinghe a un bucintoro.

Lupi, con le arterie colme di sangue e di acqua di mare, attendevano la sera che al Pizzolo ci fosse ritorno di naviglio.

– Occhio alle paranze del Mastronardi!

– Per Don Nicola Virgilio ci sarà secca e magra, questa sera!

Ed invece, che prodani, che squadri e che palombi! Pareva proprio che Nettuno si divertisse, con la più perfetta delle misure e delle bilance, a distribuire i suoi tesori. Tanto a Don Domenico e tanto a Don Nicola. Era una vera maledizione. E dire che ora la guerra avrebbe dovuto proclamarsi ancora più violenta ed aspra. Le femmine di casa avevano dato alla luce Vito, Natale, Giuseppe e Tommaso, per i Mastronardi. Meno fecondi, i Virgilio avevano avuto Giuseppe e Francesco.

Ed i genitori, ad aspergerli di acqua di mare, a imbrancarli come scimmie per il sartiame ed a gettarli nelle stive come rospi.

– Dovete diventare i delfini dell’Adriatico e soppiantare le male semenze dei nemici.

Ed i fanciulli, ch’eran tutti di buon seme, a giurare che sì e che avrebbero popolato i mari di paranze giganti.

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Ma una sera (dovette essere così, giacchè il narratore tenta una ricostruzione romanzata, per quanto i più vivi ricordi possano permettergli) eran già trent’anni di guerriglia, uno dei due generali bussò all’accampamento nemico. Senza togliersi il berretto, ch’era marinaresco e garibaldino, ed offrendo una sportella colma di ombrine, bocadoro e denti ci, disse: « non per offendervi, ma solo per farvi vedere delle belle cose…».

– Accomodatevi.

– Ho pensato…

– Anch’io, Don Nicola, ho pensato…

– Che siamo…

– …duri e della stessa forza.

– Allora, cenate con noi.

– Grazie, e vi raccomando per la cottura dei boccadoro…

– Oh quanto a questo…

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Nel 1890, eccoci in Bari, alla creazione di una delle prime società di fatto. I due vecchi fanno alleanza e patriarcalmente lasciano che il tempo intessa frange d’amore tra i discendenti. E giacchè cinque più cinque fan dieci, a poco a poco ne verrà fuori un’unica flotta di dieci velieri, che quando rientreranno dalla Grecia e dall’Albania faranno accorrere la gente, tanto sarà il tremolio delle vele ed il bargaglio del candore.

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Questa approssimativa ricostruzione lumeggia un quarto di secolo di quella che è per noi una grande Ditta industriale della pesca italiana, Ditta che, come s’è visto, ha in due marinari baresi il suo seme.

Dal 1900 il nuovo secolo avrà cominciato ad imporre nuove esigenze e nuovi doveri. I figliuoli han posto ottimi denti, han più dei padri competenze d’itinerari geografici e di certe nozioni moderne. Frattanto sarà passata la guerra sulla terra ed anche sui mari.

Don Domenico Mastronardi è caduto come un albero di trinchetto, ma la vita ha ripigliato, pur nel dolore di questi distacchi e di tali trasformazioni, il suo ritmo veloce.

Ora è la nostalgia della costa di fronte, che pare attenda, dalla Serbia a Valona, ricca di tesori ittiologici; ora è il pungolo di varare nuovi mezzi più celeri e più comodi. Così è lanciata in mare «Nicoletta» su cui Don Nicola Virgilio ha fatto applicare un primitivo motore di una carcassa automobilistica e « Nicoletta » può dirsi l’ancella del nuovo fervore e della nuova storia della Ditta. I laghi ed il mare albanesi saran pigliati di mira in un arrembaggio di insonne operosità, da una ciurma di pescatori modello. La Ditta diventa appaltatrice di pesca in Albania ed il lago di Atra offrirà la sua pupilla aspra e benigna e così San Giovanni di Medua.

Eccoci alla motorizzazione dei battelli, sicchè, man mano, la flotta diventa fumigante e rumorosa. Ormai i Virgilio ed i Mastronardi caverebbero la terra per scovare laghi e per cavare acqua e per imprigionare i più bei pesci d’Europa.

A che servirebbe allora questa flottiglia di 18 motori, che stazzano 250 tonnellate?

« Pescare e navigare è necessario. Vivere lo meno! ».

L’Albania, la Grecia, la Jugoslavia, la Tunisia, Rodi Egeo, ecco i nidi, dove questi nibbi si portano ad ali abbassate. Caricheranno in una notte, ed auspice sempre Nettuno e San Nicola, scaricheranno in un’alba, in tutti i porti d’Italia. Trieste, Venezia, Viareggio, Rapallo, Napoli, Reggio Calabria attenderanno che il naviglio di questi pionieri porti la carne che non dà mai male, che non porta gli acidi urici e non danneggia il fegato.

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Questo quadro avrebbe bisogno di statistiche e di dati, per illustrare l’attività di due rami primigenii di mercanti e di pescatori, che han saputo col lavoro e con la scaltrezza guadagnare il primato della pesca, in Italia.

Mentre parlavamo con Natale, Don Nicola Virgilio, che ormai è il padre putativo di tutti, sgranocchia fichi e guarda il mare, che lambisce quasi la sede dello studio.

Noi siamo a pigliare appunti ed a discutere da mezz’ora e son già giunti sette o otto dispacci, diramati da ogni parte d’Europa. Don Nicola, il vecchio monarca, sgranocchia fichi e quasi è indifferente. Ai suoi tempi, invero, i fattorini telegrafici eran gente inconsueta e quanto alla Norvegia, poi… non era forse nemmeno segnata sulle carte d’Europa.

Così, in un regime patriarcale, in cui Giuseppe Virgilio ed i fratelli di Natale, Vito e Giuseppe, dividono il loro lavoro multiforme ed alacre, vive una delle aziende più elettriche e più arroventate. Tecnica della pesca, conoscenza perfetta dei mercati, ostilità di scambi…

A tutto, questi delfini pongono riparo. Unicità e concordia nelle direttive e nel comando, fiuto e sagacia barese, onestà illimitata e senza fondo, come il loro gran mare…

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Naturalmente le femmine di casa allevano nuovi delfini. I tempi moderni li vorranno ancora più bellicosi e più corazzati, e forse anche più pronti e più insidiosi. Noi, nel congedarci, guardiamo il Pontefice della razza, il nonuagenario Nicola, che ha, negli occhi, rinserrata la bella e sicura predizione dell’avvenire.

Nuove generazioni che spuntano vivide e lucenti. Anche perchè, ogni tanto, l’Angelo Nero segna di croce anche la porta dei marinari e come una volta a Domenico Mastronardi ed a Francesco Virgilio, giunto in sua patria a bordo dell’Almissa, bianco come un gabbiano, anche da poco a Tommaso ha voluto tendere le braccia fredde.

Tanto si sa, per i figli del mare «vivere, a volte, non è necessario.. ».

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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