TOMASICCHIO FRANCESCO

Francesco Tomasicchio rappresenta degnamente la schiera di quegli operosi uomini baresi dell’800 che diedero impulso ai rapporti della nostra Terra coll’Estero, giovandosi della loro abilità tecnica, del loro spirito d’iniziativa, della loro singolare correttezza negli affari.

A lui si deve infatti se i commercianti albanesi intensificarono i loro rapporti con i nostri mercatanti, a lui si deve se questi nostri fraterni alleati potettero avere fiducia cieca nei loro corrispondenti baresi. Giunse a tal punto il suo credito presso costoro, che per parecchio tempo essi preferivano assegni tratti sulla Ditta di Don Ciccio Tomasicchio. La sua esistenza è un esempio di ostinata volontà di successo e di fede nelle proprie forze.

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Nato nel giugno 1851 da famiglia di negozianti, egli cominciò ad occuparsi di attività bancaria e di cambi in maniera aleatoria. Dal padre che era un ricco proprietario compromessosi per assolvere impegni altrui, aveva ereditata la bontà che lo accompagnò per tutta la vita; dal padre Vito Nicola, che era negoziante di legnami, aveva ereditato la conoscenza del meccanismo del traffico.

Amico intimo di Nicola Zavoianni, altro antesignano del nostro commercio coll’Estero e particolarmente con l’Oriente Balcanico, Francesco Tomasicchio creò un ufficio di cambio che prosperò gradualmente e fu elemento decisivo ed inoppugnabile del graduale incremento dei rapporti baresi con l’estero e specialmente con l’Albania.

Attraverso il suo ufficio si sviluppò in Bari il commercio dei titoli di Stato, allora quasi ignoto nelle zone pugliesi.

Sposò nel 1878 la signorina Clementina Vallaperta, gentile figliuola di un commissario di Dogana di nome Astorre, ed ebbe 17 figli di cui 8 viventi, rivelandosi anche in ciò esponente della migliore razza pugliese che nelle domestiche cure e nella larga figliolanza vede i segni della maggiore possibile ricchezza spirituale, ausiliatrice e confortatrice delle lotte per l’esistenza.

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Francesco Tomasicchio fu uomo di rara modestia. A comprovare tale sua attitudine di vita basta l’episodio, ancora ricordato dai nostri padri, del rifiuto da lui opposto alla candidatura per Consigliere Comunale che gli amici dell’On. Paolo Lembo e questo stesso, gli avevano offerta. Egli era stato compreso nella lista, e quando ebbe conoscenza di questo fatto, si precipitò in casa del suo amicissimo don Paolo e tanto insistette che riuscì a farsi eliminare dalla lista.

Modestia, bontà, amore al lavoro furono i precetti che egli inoculò nei suoi figli, uno dei quali, il giovanissimo e compianto rag. Astorre, sacrificò alla Patria la sua fresca ed aggressiva esistenza.

La morte gloriosa di questo figlio, avvenuta il 18 maggio 1916 sul Costone d’Arsiero, addolorò moltissimo don Ciccio, ma alimentò di fierezza e d’orgoglio il vegeto suo cuore.

Già da sottotenente Astorre Tomasicchio era stato fra i primi a raggiungere, il 22 luglio 1915 la vetta del San Michele rimanendo ferito e guadagnandosi una prima medaglia al valore con la seguente motivazione: «Guidava al contrassalto il proprio reparto con coraggio e fermezza, sebbene ferito, continuava a combattere incitando i soldati a perseverare nella lotta».

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In una sua lettera ai genitori egli così comunicava la notizia del superiore riconoscimento reso al suo valore e la sua gioia per l’onore che ne veniva alla famiglia.

« …Ieri ho passato una giornata bella ed indimenticabile causa la comunicazione di essermi stata conferita una medaglia di bronzo al valore per il fatto d’armi del 22 luglio. Contento per la grandiosa manifestazione dei miei colleghi tutti e della motivazione che mi ha molto soddisfatto. I miei colleghi hanno voluto loro stessi fregiarmi del nastrino che splende ora sul mio petto, ed io lo offro a voi, amati genitori, in compenso dell’affetto che mi nutrite, in compenso di tutto quanto avete fatto per fortificarmi ed educarmi l’animo e far sì che il nome della mia famiglia sia più che onorato; lo offro per dimostrarvi la mia gratitudine, la mia venerazione per voi».

Prese parte attivissima ai fatti d’arme di Oslavia nel gennaio 1916, ove rimase leggermente ferito restando oltre due ore sotto un mucchio di cadaveri nemici ed evitando così di essere fatto prigioniero.

Promosso tenente, partecipò ad altre azioni, fulgido esponente dell’eroismo guerriero della gente pugliese, ed alla sua memoria fu concessa una seconda medaglia al valore con la seguente motivazione: «Animoso ed intrepido Comandante di Compagnia, incurante del pericolo, si slanciava primo all’assalto di una posizione avversaria, cadendovi mortalmente ferito».

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L’eroica fine di Astorre Tomasicchio testimonia luminosamente l’educazione spirituale e patriottica da lui ricevuta in famiglia.

Francesco Tomasicchio, pur avendo ceduto l’azienda al figlio Vito, fino al giorno della sua morte, verificatasi il 6 settembre 1931, continuò a svolgere la fatica che gli aveva portato fortuna. Si può dire quindi che egli morì sulla breccia, confortato dal pensiero che il suo figliuolo avrebbe continuato degnamente l’attività, che per circa 60 anni egli aveva svolto, circondato dalla stima dei suoi concittadini, dall’alta considerazione di tutti i più importanti commercianti dell’Oriente Balcanico.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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