LAMPARELLI FAMIGLIA

Scrivere cenni biografici sui personaggi che illustrarono questo Casato, tra i più noti della Puglia, è certamente alquanto difficile, poichè, andando con ordine retrogrado dal presente verso il passato, ci si perde nel tempo.

Per tanto diamo notizia di colui che tra tutti i personaggi della Casa basta da solo a rappresentarla degnamente, e per le sue doti d’ingegno non comune, e per la tempra del suo carattere che si rivela dal suo motto abituale: « Mi spezzo ma non mi piego» (Frangar non flectar), vogliamo dire di Michele Lamparelli, Magister Fisicus (com’era chiamato alla fine del Settecento ogni buon medico-cerusico).

Egli nacque in Terlizzi il 29 settembre 1776 « dal padre Giuseppe, valente medico-chirurgo del suo tempo, già discepolo del concittadino Michele Sarconi, medico di alta levatura, e dalla madre Teresa Guastadisegni da Giovinazzo ».

Dopo aver attinto i primi rudimenti letterari da buoni precettori, studiò nel Seminario di Molfetta, dimostrandosi di svegliatissima intelligenza e di pronto parlare.

Ma ancora adolescente, spogliatosi dell’abito talare, volle dedicarsi alle scienze e alle lettere. Perciò si recò in Napoli ove studiò medicina sotto Francesco Bagni, Domenico Cirillo, e fu amico di Vincenzo Cuoco, di Pietro Colletta e di altri illustri i cui nomi appartengono alla Storia Nazionale, quali auspicatori dell’Italia una e indipendente. Ancora allievo nell’Ospedale degli Incurabili, ventiduenne, fu eletto medico supplente all’ospedale di Montecalvario, acquistando si fin d’allora fama di valentissimo nell’arte medica.

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Frattanto la Rivoluzione Francese distoglieva gli animi e li accendeva di entusiasmo per la conquistata libertà dell’uomo contro il despotismo dei Principi. Il Lamparelli fu tra i simpatizzanti la Rivoluzione, per cui fu additato quale nemico della Monarchia Borbonica e fu costretto ad allontanarsi da Napoli fino a che non si proclamò la Repubblica Partenopea, durante la quale fu organizzata la Guardia Nazionale. Egli che apparteneva ai giovani dell’Ospedale degli lncurabili, fece parte del Battaglione sacro della Repubblica. Quando però questa cadde per opera del Cardinale Ruffo, il Lamparelli fu condannato dal ritornato Governo Borbonico, a morte, pena che gli fu commutata in esilio a vita (1799).

Partì per la Francia il 12 agosto 1799 e, a Parigi, degno rappresentante della scuola Napoletana, sostenne cattedra medica. Nell’anno 1800, arruolatosi a Lione nella Legione Italica, fece la seconda campagna d’Italia col Console Napoleone e fu alla Battaglia di Marengo.

Dopo il congresso di Firenze (28 marzo 1801), godendo l’amnistia, il nostro tornò a Napoli, ove si addottorò in filosofia, medicina e chirurgia.

Nel 1806 i francesi rioccuparono Napoli e il Lamparelli s’ebbe delicati incarichi, finché, nel 1813, gli fu conferita la cattedra universitaria di Patologia. La sua fama crebbe così che. nel luglio del 1814 gli fu conferita l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine Reale delle due Sicilie. L’anno seguente fu eletto medico ordinario della Real Casa.

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Il 1815 il Murat gli conferì la medaglia di Onore. Ma nel maggio dello stesso anno dopo la sconfitta al Panaro e il ritorno di Ferdinando IV di Borbone, dovette accompagnare i Murat a Trieste, di poi si ritirò in Terlizzi. Da questo momento comincia per il Lamparelli il secondo periodo della sua vita, importantissimo perché dal campo delle scienze mediche, passò a quelle delle scienze agrarie.

Egli che era stato l’introduttore in Italia delle conquiste della scienza medica fatte in Francia, e dell’applicazione del Termometro, egli che era stato amico di scienziati, di economisti, di storici, di letterati, di artisti e di prelati, eccolo divenire l’amico sapiente dei contadini, il trasformatore dell’ampia tenuta del Sovero, in vigneti, mandorleti e uliveti.

Da molti anni vedovo della moglie Aurora Scalera e privato delle sue due figlie, morì nel giugno del 1857 in Terlizzi, lasciando erede del suo ricco patrimonio, il nipote Giuseppe Lamparelli figlio a suo fratello Domenico.

Il cav. Giuseppe Lamparelli, dottore fisico come lo zio, si dedicò con uguale passione alla bonifica dei vasti latifondi, completando l’opera intrapresa dallo zio.

Questi, sposatosi con la signorina Giovanna Lezza di Molfetta, ebbe diversi figli, l’ultimo dei quali, Onofrio, continuò la tradizione famigliare agraria.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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